Tutto è pronto a Palazzo Martinengo per l’evento dell’anno promosso dall’amministrazione provinciale di Brescia e organizzato da Fondazione Provincia di Brescia Eventi. Il 1° marzo aprirà i battenti la mostra Moretto, Savoldo, Romanino, Ceruti. 100 capolavori dalle collezioni private bresciane che, grazie alla disponibilità di molti collezionisti privati, permetterà al grande pubblico di riscoprire capolavori dei più grandi maestri della scuola bresciana dal ’400 al ’700. A curare l’esposizione un giovanissimo ma ormai esperto curatore di mostre, uscito dalla scuola dell’Università Cattolica, Davide Dotti.
Davide, 28 anni, ha mosso i suoi primi passi negli studi di Storia dell’arte frequentando il corso di laurea triennale in Scienze dei Beni culturali nella sede bresciana dell’Ateneo. La sua è stata quindi dall’inizio una storia uguale a quella di tanti studenti appassionati d’arte che si iscrivono a una facoltà umanistica con il sogno di fare, un giorno, della propria passione un lavoro. Anche se Davide, come invece spesso capita a molti giovani, non ha trovato difficoltà a far accettare ai suoi genitori la scelta di un percorso universitario di tipo umanistico, che suscita a volte il timore della difficoltà di trovare poi uno sbocco lavorativo soddisfacente: «Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia che con l’arte ha sempre avuto un rapporto speciale e da subito ha assecondato le mie inclinazioni, portandomi a visitare mostre e musei, allenando il mio occhio e affinando il mio gusto».
Già dopo la tesi di laurea triennale, discussa con Giovanni Valagussa, docente di Museologia, e con Marco Bona Castellotti, docente di Storia dell’arte medievale e moderna, è arrivata la prima esperienza importante: la pubblicazione del lavoro di ricerca, il catalogo dei dipinti del Museo civico d’arte e del territorio Gianni Bellini di Sarnico, con il contributo del Credito Bergamasco: «È stata la prima volta in cui mi sono messo davvero in gioco, confrontandomi con storici dell’arte di fama, che mi hanno aiutato a crescere e mi hanno insegnato molto. Così ho imparato che il confronto, la collaborazione e l’apertura sono fondamentali, soprattutto per un giovane come me, che ha ancora molto da imparare».
Dopo la laurea triennale arriva quella magistrale con la professoressa Maria Grazia Albertini Ottolenghi, ma nel frattempo ha già alle spalle la prima mostra, curata a vent’anni: Paesaggi, vedute, capricci, lombardi e veneti, del Seicento e del Settecento, un’esposizione itinerante ospitata nei comuni di Treviglio, Montichiari, Iseo e Orzinuovi. Seguendo il filone delle ricerche nelle collezioni private e nei depositi dei Musei, Davide sta portando alla luce, mostra dopo mostra, dipinti inediti e dimenticati, convinto che «solo così progredisce la storia dell’arte». Fino a quella inaugurata nell’ottobre 2013, al Museo di Belle Arti di Budapest, Da Caravaggio a Canaletto, coronata da un grande successo di critica e pubblico.
A sentire questa storia, il percorso di un laureato in Storia dell’arte sembra facile e aperto a un successo a portata di mano: «Ci sono molti sacrifici dietro questi risultati. Trovare la propria strada costa fatica, perché bisogna avere buone idee, ma anche saperle presentare alle persone giuste che abbiano voglia di finanziare i progetti. Bisogna avere molta passione, studiare di notte, ma anche credere nelle proprie idee e buttarsi subito nella mischia senza aspettare di essere laureati: avere, insomma, il coraggio di esporsi». Sembra di sentire le parole di un grande imprenditore che con la cultura è riuscito a fondare un impero: «Aver fede, costanza, coraggio nelle imprese nelle quali si crede», scriveva Arnoldo Mondadori.