di Silvia Dander *
Il viaggio in aereo Milano-Parigi-Lima è stato infinito e il primo impatto con la città un po’ traumatico, non sono abituata al traffico e al caos di una capitale. La città è immensa ed è divisa in distretti, il mio appartamento si trova a Jesús Maria. La prima notte non passa molto tranquilla a causa del fuso orario, sono un po’ sconvolta/spaventata, ma mi preparo ad affrontare quest’avventura.
I primi e gli ultimi tre giorni in Perù li passiamo nella capitale come turisti, accompagnati da Karina, una ragazza sulla trentina molto disponibile e solare. Con lei visitiamo il centro storico con il Monastero di San Francesco, la Chiesa di Santo Domingo e di Santa Rosa, il Parco dell’Acqua, la Piazza Maggiore con la cattedrale, il Municipio e il Palazzo del Presidente, il Mirador di San Cristobal che a 800 metri s.l.m., da cui si può apprezzare l’intera e infinità città di Lima e poi il distretto più turistico, chiamato Miraflores, che dà sull’oceano e andiamo anche a vedere la sede dell’Università Cattolica che si trova nel distretto Los Ulivos.
Il centro storico è molto bello, con palazzi colorati dagli spettacolari balconi in legno e chiese anch’esse tutte colorate. L’oceano mi lascia impressionata e in estasi, il clima non è dei migliori, l’inverno di Lima è caratterizzato da una nebbiolina perenne causata dall’alto tasso di umidità: ci sono 18-20 gradi e un cielo grigio che mette un po’ di tristezza, ma le onde che muovono l’acqua si protraggono all’infinito e ritraendosi sulle rocce fanno un rumore molto particolare. La cucina nella capitale è molto varia, abbiamo provato un po’ di piatti tipici, dolci e bevande.
La vera avventura inizia dopo il viaggio di 20 ore attraverso le Ande e i paesaggi verdi a perdita d’occhio, con qualche paesino di case in lamiera o legno e palme di varie specie. Arrivati ad Atalaya, piccola cittadina nella regione di Ucayali, non paragonabile a nessuna città europea, veniamo accompagnati nella casa destinata ai volontari all’interno del campus di Nopoki. Lì il clima è diverso, molto umido ma con 35-40 gradi: il traffico non esiste, le strade sono per la maggior parte di terra battuta e il mezzo di trasporto è il motocarro. La vita scorre molto tranquilla e la giornata lavorativa è legata alle ore di luce.
Viene così il momento di visitare le piantagioni di ananas, arancia, cacao, caffè e il vivaio dell’università. L’ingegner Gustavo Callixito ci spiega i vari lavori di gestione per le diverse colture e ci presenta i lavoratori con cui abbiamo collaborato nei giorni successivi. Le giornate passano veloci, piano piano socializzo con gli operai che inizialmente sono un po’ diffidenti, ma superato l’imbarazzo si rivelano molto curiosi sulle mie origini e anche simpatici.
A livello professionale, imparo molto sulla coltivazione dell’ananas, le sue fasi fenologiche e la gestione della semina, fertilizzazione e raccolta. Hugo, il responsabile della piantagione di cacao, ci spiega come eseguire l’innesto e la potatura e ci mostra le differenze tra varietà (fine per la cioccolateria e non fine per la cosmetica). Inoltre ci spiega la gestione del vivaio di cacao, caffè e arancia e collaboriamo nella preparazione del campo per la semina di quest’ultima. Visitiamo anche la piantagione di banane e papaya che si trovano su un’isola e quindi per raggiungerla navighiamo lungo il Rio Ucayali a bordo di una piccola barca. Anche qui ci vengono spiegati i vari lavori di gestione a partire dalla semina fino alla raccolta dei frutti.
Tutti i lavori, esclusa l’aratura, sono eseguiti a mano e le piantagioni non sono facilmente raggiungibili né risulta facile muoversi tra le piante a causa del terreno in pendenza e ricoperto di foglie, rami e radici. Inoltre le condizioni climatiche non sono molto favorevoli, perché in alcuni giorni si suda anche a star fermi e in altri la pioggia è così forte che devi interrompere il lavoro. Ma i panorami sono mozzafiato: sei circondato dal verde che si estende a perdita d’occhio verso l’orizzonte e tutto intorno a te senti il canto di uccelli tropicali e puoi ammirare decine di farfalle colorate.
Al termine della giornata la soddisfazione per il lavoro svolto è grande, le informazioni acquisite sulle colture tropicali sono numerose e la lingua risulta sempre più comprensibile.
L’ultimo giorno di lavoro si conclude con un pranzo a casa del Padre Curro nella sua parrocchia e tra vari discorsi di ringraziamento emerge un po’ di tristezza per la fine della nostra permanenza ad Atalaya. Dopo quest’esperienza ogni volta che berrò un succo di ananas o un caffè o quando mangerò del cioccolato penserò a Hugo e ai suoi compagni e al loro duro lavoro.
Nonostante qualche problema di salute, e qualche difficoltà iniziale di adattamento al loro modo di vivere e un po’ di nostalgia (soprattutto della cucina di casa), è stata un’esperienza che rifarei mille volte, perché mi ha fatto crescere come persona, mi sono affezionata ai lavoratori e ai responsabili dell’università, che si sono mostrati molto gentili e disponibili. Ho imparato moltissimo sulle coltivazioni tropicali, informazioni che in Italia nessuno mi avrebbe saputo dare e ritengo che imparare mettendo in pratica è sicuramente meglio che studiare solamente la teoria.
* 24 anni, di Brescia, laureanda a Scienze e tecnologie agrarie, facoltà di Scienze agrarie, alimentari e am¬bientali, sede di Piacenza