Qual è ruolo delle banche popolari nel sistema creditizio? Il cosiddetto credit crunch, ovvero la stretta creditizia causata dalla crisi economica, sta minando il loro sostegno al territorio? Questi sono stati alcuni degli interrogativi cui hanno cercato di rispondere i relatori intervenuti all’incontro di studio sul tema “Credito popolare e crisi dei sistemi finanziari: quali soluzioni virtuose?”. Il convegno si è tenuto il 19 gennaio in una Sala Negri da Oleggio gremita di docenti e studenti accorsi per rendere omaggio alla lunga carriera accademica del professor Sergio De Angeli, su iniziativa del dipartimento di Scienze dell’economia e della gestione aziendale (Segesta). Da poco tempo fuori ruolo, il professor De Angeli è stato, tra le altre cose, l’ideatore nel 1991 dell’Associazione per gli studi aziendali e manageriali (Asam) e nel 2000 del Centro di ricerche in studi e management sanitario (Cerismas). A ripercorrere alcune tappe salienti della sua attività scientifica e del suo magistero sono stati Domenico Bodega, preside della facoltà di Economia, Lorenzo Caprio, direttore del Segesta, e i professori Marco Oriani e Pietro Cafaro, rispettivamente docenti di Economia degli intermediari finanziari e Storia economica. Con loro, hanno preso parte al dibattito anche due professionisti del settore creditizio, come Carlo Fratta Pasini, presidente del gruppo bancario Banco Popolare, e Giovanni De Censi, presidente del gruppo bancario Credito Valtellinese.
Il dibattito è entrato nel vivo con l’intervento del preside Bodega che ha posto l’accento sul ruolo chiave che nel tessuto economico nazionale riveste il credito popolare. Lo confermano i dati, come ha ricordato nella sua relazione il professor De Angeli: alla fine del 2010 alle banche popolari faceva capo circa il 20% dell’attivo del sistema bancario contro il 17,1 per cento del 2000, e due istituti del settore figurano tra i primi cinque attori delle banche nazionali. Di qui la necessità di supportare tale modello e la sua solidità, soprattutto in un momento in cui l’industria finanziaria fuori controllo ha contagiato l’economia reale e, di conseguenza, l’intero comparto bancario.
Eppure secondo il professor Cafaro il credito cooperativo, grazie alle sue specificità – in primis il forte radicamento nel territorio e una concezione che pone in primo piano la dimensione umana del cliente –, può essere una soluzione ai problemi che abbiamo di fronte. Dal suo punto di vista, traendo insegnamento dal passato, va riscoperta l’etica di un futuro sostenibile. A tal proposito lo storico dell’economia cita le parole del fondatore della Banca popolare di Milano Luigi Luzzatti pronunciate nel 1913: «Bisogna esser umili per saper crescere, anche in momenti di crisi». Non a caso, la banca popolare, nata in un contesto rurale, aveva tra i suoi obiettivi principali educare al risparmio e sostenere i braccianti durante le difficoltà, mettendo al servizio dell’economia il credito e investendo in attività sicure. «Dare senza speculare – ha continuato Cafaro – questo è stato il volano che ha fatto decollare l’economia».
Col tempo il modello popolare si è evoluto in cooperativo, portando le banche a tessere fra di loro solide relazioni tipiche di una moderna organizzazione multidimensionale, restando pur sempre autonome per statuto, focalizzate sul territorio d’appartenenza e attente nella gestione del capitale. Per Fratta Pasini oggi le popolari offrono servizi e attività finanziarie tipici delle banche tradizionali. L’unica differenza sta nel minor grado d’indebitamento, la bassa incidenza dei prodotti derivati e il calo degli impieghi. Ma se, da un lato, la capacità di legare con il territorio e l’accurata scelta dei “meritevoli” di credito hanno salvaguardato gli asset bancari, dall’altro, esiste un problema di dialettica tra sistema bancario e organismi di vigilanza. Per esempio, ha argomentato Fratta Pasini, “Basilea 3” prevede linee-guida identiche per tutti i tipi di banche, senza alcuna distinzione, e talvolta tende a premiare alcuni tipi di istituti tramite algoritmi basati sull’attività di credito tradizionale. Con questi provvedimenti le popolari, che da sempre basano le loro scelte su criteri relazionali fondati su una profonda conoscenza locale, rischiano di essere strozzate da parametri pensati per altre banche, senza nessun carattere qualitativo ed estremamente rigidi.
Ne è profondamente convinto il presidente del Credito Valtellinese De Censi, che ha ribadito la diversità delle banche popolari rispetto a quelle tradizionali, anche per il ruolo chiave che sono chiamate a svolgere: creare valore per l’azionista ma soprattutto creare valore per il territorio. Nel Credito Valtellinese l’88% dei soci sono anche clienti, ha spiegato il presidente, un dato che la dice lunga sul forte interesse a perseguire obiettivi sociali ed economici anche in momenti di ristrettezza economica. Il credit crunch ha messo a dura prova il sistema bancario in generale, costringendo gli istituti a una politica restrittiva. Ciò si è tradotto in una riduzione dei prestiti alle famiglie e dei finanziamenti alle Pmi che, in questo contesto, si sono riversati sulle popolari. Per De Censi rimane comunque la speranza: «In un periodo di recessione bisogna avere il coraggio di continuare. È necessaria un’iniezione di liquidità, da parte della Bce, per sostenere l’economia».