«Non sono mai diventato un vero direttore d’opera». È iniziata così, con un’affermazione che naturalmente ha fatto sorridere il numeroso pubblico presente nell’Aula Magna lo scorso 24 novembre, la lezione di Daniel Barenboim sull’opera che inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala. Sollecitato dalle domande del professor Enrico Girardi, il maestro ha spiegato che il suo è stato un percorso anomalo e molto diverso da quello della maggioranza dei direttori d’orchestra: «Sono arrivato all’opera dopo 23 anni che ero già sul palcoscenico come pianista». Guidato nel mondo della musica da due genitori più vicini alla musica da camera e pianistica, il giovane Barenboim scoprì il genere operistico a 11 anni proprio assistendo a una rappresentazione del Don Giovanni mozartiano, che è stata anche la prima opera da lui diretta.
È per questo motivo che l’apertura di questa stagione scaligera rappresenterà per Barenboim un ritorno a un vecchio amore e insieme una sfida completamente nuova: il suo primo Don Giovanni fu quello diretto nel 1973 al festival di Edimburgo con Peter Ustinov che, come ha ricordato il direttore, «disegnò i costumi durante un pranzo frugale sulle tovagliette del ristorante». L’opera, raccontata da Barenboim, può essere anche un’esperienza di grande divertimento. Ma la novità è costituita dall’occasione di dirigere un’orchestra italiana, che ha così la possibilità di percepire, e quindi di rendere, le piccole sfumature di significato, di «reagire ad alcune parole chiave». Il Don Giovanni è infatti un’opera di grande complessità, un «dramma giocoso», in cui la dimensione umoristica e quella tragica coesistono e in cui anche il rapporto tra numeri musicali e recitativi è oggetto di particolare attenzione: «Ci sono recitativi completamente staccati dalla musica e altri che invece le sono legati in modo molto fluido; anche qui si gioca l’estrema difficoltà dell’esecuzione».
Ma sulla “prima” della Scala anche per questa stagione restano segreti: al suo interlocutore che gli ha chiesto di svelare alcuni dettagli della regia, affidata quest’anno a Robert Carsen, Barenboim ha risposto con un principio generale: «Le soluzioni registiche possono essere tante e molto diverse, ma non si deve mai dimenticare che prima di tutto bisogna raccontare una storia: nessun regista ha il diritto di mettere in scena il suo subtesto».
L’attesa rimane e i misteri sul debutto sono ancora da svelare. L’unica certezza per il direttore sembra essere il pubblico, cui allude con simpatia: «Sono contento di presentare il Don Giovanni in Italia perché gli italiani sono capaci di entusiasmarsi. In generale non amo l’esagerazione, ma senz’altro la preferisco alla mancanza di espressività. Speriamo perciò che tra il pubblico ci siano pochi stranieri».