Non fu l’uomo dei modelli istituzionali ma della ricerca delle fondamenta condivise. Questo il profilo di Leopoldo Elia, costituzionalista, politico e presidente della Consulta scomparso nel 2008. Al professore è stato dedicato il volume Costituzione, Partiti, Istituzioni, presentato lo scorso 17 marzo nell’aula Pio XI dell’Università Cattolica. Un’opera che non è da considerarsi postuma, né un tributo, visto che il suo impianto era stato pensato dallo stesso Elia, che però non ebbe il tempo per darle forma e pubblicarla. Per illustrare il volume sono intervenuti il presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida, il professore di Diritto pubblico della Cattolica Enzo Balboni, e il costituzionalista Marco Olivetti. A fare gli onori di casa il preside della facoltà di Giurisprudenza Giorgio Pastori e il preside della facoltà di Lettere Luigi Pizzolato. Con loro il costituzionalista Mario Dogliani e l’avvocato ed ex sindaco di Brescia Cesare Trebeschi che hanno animato la tavola rotonda dedicata a Leopoldo Elia “Costituzionalista e cittadino Cattolico”. Ha collaborato all’incontro l’associazione “Città dell’uomo”.
A introdurre i lavori è stato il pro-rettore dell’università Luigi Campiglio, che ha sottolineato la figura di Elia come uomo delle istituzioni, «costituzionalista esemplare, interprete attento ma anche critico, cosciente che le regole costituzionali dovessero essere non ingessate, ma neppure deboli». Come ha affermato Valerio Onida, «l’atteggiamento di Elia era quello del costituzionalista che, aldilà del momento storico e della polemica politica, era convinto che le istituzioni e la Costituzione dovessero rappresentare sempre la base solida e condivisa del sistema politico». Per questo, ha proseguito Onida, «Elia avrebbe avuto molto da dire oggi, di fronte a un panorama politico che non riesce ad avere una visione condivisa delle fondamenta istituzionali del Paese. Elia non era una persona affezionata ai modelli istituzionali: credeva dovessero essere negoziabili e misti, in quanto il l’assetto istituzionale dello Stato deve essere un mezzo e non un fine. Ma non avrebbe certo accettato una situazione in cui il governo tenta costantemente di delegittimare e strumentalizzare le istituzioni repubblicane».
Leopoldo Elia fu anche importante uomo politico. Appartenente alla corrente morotea della Democrazia Cristiana, come ricordato da Marco Olivetti, «fu uno dei massimi esponenti del cattolicesimo democratico del secondo dopoguerra. Grande amico e consigliere di Aldo Moro, che incontrò nella chiesa di Santa Chiara il 15 marzo 1978, il giorno prima del suo rapimento ad opera delle Brigate Rosse». La sua appartenenza alla Dc fu allo stesso tempo critica e organica. Per Enzo Balboni Elia «fu un grande uomo delle istituzioni e si impegnò profondamente per il loro funzionamento, ma seppe criticare senza indulgenze le derive del potere democristiano. Anche se sempre nella prospettiva propria di un politico che voleva contribuire a costruire un partito migliore, alcune sue critiche fecero scalpore, come quando definì la Dc un “partito di occupazione del potere” o come quando, negli anni ’80, accusò i suoi vertici di non impegnarsi per condurre il Paese a una vera maturazione democratica. Piuttosto li definì rassegnati a “vivere nel caldo ovile dell’anticomunismo”, nella certezza che ciò sarebbe bastato per mantenere il potere nel bipartitismo della prima Repubblica».
In Elia non è mancata però la speranza. Da cittadino cattolico, il giurista era manzonianamente convinto che «gli uomini debbano sperare sempre e non sentirsi abbandonati mai, in qualunque travaglio».