Julien Ries, sacerdote della diocesi di di Namur, in Belgio, novant'anni compiuti quest’anno, gran parte dei quali dedicati allo studio della storia e dell'antropologia delle religioni. Il frutto di questo lavoro, un imponente archivio che contiene la totalità dei suoi manoscritti, gli appunti dei corsi, le corrispondenze intrattenute con gli storici delle religioni di tutto il mondo, è stato donato interamente all'Università Cattolica. Un lascito prezioso di circa 8mila esemplari, tra libri editi e inediti, che sarà ospitato dal Centro di Ateneo per la dottrina sociale della chiesa.
«Una miniera straordinaria - l'ha definita il rettore Lorenzo Ornaghi -, alla quale potranno attingere ricercatori e appassionati». Una miniera che, nelle intenzioni del suo autore, sarà utile per le ricerche di chiunque sia interessato all'homo religiosus e alla sua esperienza del sacro nel corso della storia umana. L'archivio è stato presentato il 10 novembre dal Centro di Ateneo per la dottrina sociale della chiesa e da Jaca Book, la casa editrice che di Ries sta pubblicando l'Opera Omnia in undici volumi. Lo scorso 26 febbraio, anche l'Academia Belgica ha celebrato a Roma l'illustre connazionale con un convegno dedicato alla sua figura.
Per comprendere appieno il contributo di Ries è indispensabile conoscere la cornice teorica dalla quale muove la sua opera. La religione è da sempre al centro degli studi di antropologia, ma da prospettive differenti. Come afferma Ries: «Esiste da una parte l'antropologia socio-culturale, dall'altra l'antropologia religiosa». La prima, ampiamente maggioritaria nei dipartimenti universitari, ha i suoi fondatori nei sociologi francesi Émile Durkheim e Marcell Mauss, e interpreta la religione come funzione della società che plasma il pensiero individuale inducendolo a celebrare, attraverso Dio, la società stessa. Secondo Ries, invece, l'antropologia religiosa è una "antropologia d'avanguardia" che muove dalla volontà di elevare a oggetto della propria riflessione l'homo religiosus che, in ogni tempo e a prescindere dalla società d'appartenenza, vive l'esperienza del sacro. Dal paleolitico ai giorni nostri.
Ma per un sacerdote-antropologo l'evoluzione dell'homo religiosus rappresenta un continuum storico, oppure la nascita del cristianesimo segna una cesura? «La crescita della coscienza religiosa nel corso dell'umanità - risponde Ries - è un processo storico che ha tre tappe: la prima va dall'uomo arcaico fino alle grandi religioni precristiane: la seconda inizia con la rivelazione del monoteismo ad Abramo: mentre la tappa definitiva comincia con l'incarnazione di Gesù Cristo».
I simboli sono essenziali nella vita e nell'identità dell'uomo. Secondo Ries, sono oggetti visibili che rimandano a una realtà che sorpassa l'essere umano: il trascendente. Il simbolo è, anzi, allo stesso tempo “carta d'identità dell'uomo”, “rivelatore di mistero” e “sorgente di conoscenza e di creatività”. Impossibile non collegare l'argomento al dibattito sul crocefisso, che ciclicamente torna a dividere i politici e l'opinione pubblica italiana tra coloro che ne difendono l'esposizione nei luoghi pubblici come prezioso simbolo identitario e coloro che invece ne invocano la rimozione in nome della laicità. Spiega Ries: «I simboli sono essenziali per gli uomini, per questo chi ne invoca la rimozione mostra una grave mancanza di cultura». Tuttavia, quella relativa ai simboli religiosi, non può essere considerata una problematica a sé
stante, ma secondo l'antropologo belga, va posta come frutto di un lungo processo che, combattendo l'homo religiosus, tenta di dar vita all'homo ideologicus. Un processo al quale Ries ha dedicato parte delle proprie pubblicazioni (in particolare il volume 10 del Trattato di antropologia del sacro). Secondo Ries, con la tendenza soggettivante imposta dall'affermarsi del metodo scientifico moderno e dello storicismo, è iniziato un processo che ha aperto la strada alle false ideologie della contemporaneità e alle catastrofi provocate dal nazismo e dal comunismo. «Lo storicismo, in particolare, applicando modelli strettamente filologici allo studio della Sacra Scrittura e introducendo la scienza comparata delle religioni, ha accelerato lo smarrimento della trascendenza», spiega lo studioso. Un processo che ha avuto le più estreme conseguenze nel marxismo: «Affermando che l'uomo crea sé stesso creando il suo mondo, Marx dà ragione della condizione umana attraverso la produzione economica. È questa la crisi totale dei valori».
Ma con la caduta dei regimi del Novecento non sono finiti i pericoli per l'homo religiosus. Anche il consumismo è un rischio. Se prima i falsi miti erano rappresentati dalle mitologie politiche oggi, secondo l'autore, sono rappresentati dalla trasformazione dell'uomo in consumatore e dall'ideologia neo-liberista in genere, che fa scoppiare la società con il crescente divario tra poveri e ricchi. «Per questo - conclude Ries - noi dobbiamo denunciare tutte le ideologie moderne e specialmente il neoliberismo che annienta l'uomo. Da questa consapevolezza scaturisce la ricerca permanente della verità, perché la verità è la fonte della libertà».
Ultimamente si parla molto di ritorno al sacro, di una crescente sensibilità verso la dimensione spirituale dell'esistenza mentre, in tutto l'Occidente, nascono come funghi gruppi che mescolano spiritualità, moda e misticismo. Ma questa spiritualità è frutto di una nuova esigenza religiosa o ne rappresenta una deriva? Per Silvano Petrosino, docente di Semiotica in Università Cattolica e direttore dell'Archivio Julien Ries, la religiosità autentica è una dimensione profonda, impegnativa e, secondo alcuni, potenzialmente pericolosa, che per essere seguita richiede un grande sforzo all'uomo. «Per questo l'essere umano tende sempre a sbandare verso un'etica banale, "buonista", o verso un misticismo esoterico: si tratta di ripieghi semplici, facilitati dalla realtà di una società consumistica, dove anche la religione rischia di diventare una sorta di merce da consumare. Su questo argomento è utile riferirsi all'opera di Ries, secondo cui la religiosità è una condizione strutturale dell'uomo, il quale rimane sempre e comunque un essere religioso. Per questo, seguendo il pensiero di Ries, non possiamo parlare di un ritorno al sacro, bensì del sacro come dimensione umana permanente».
Si tratta, quindi, di una ipotesi di tipo antropologico, nel senso che investe la natura stessa dell'uomo: «Solo se si comprende il valore antropologico degli scritti di Ries – conclude Petrosino - si può capire la portata delle sue teorie, che lo pongono, a prescindere dal fatto che ci si trovi in accordo o meno con esse, come teorico di valore assoluto nel campo dell'antropologia religiosa, al pari di ciò che Durkheim rappresenta per l'antropologia socioculturale».
Articolo pubblicato su Presenza numero 1 gennaio-febbraio 2010