La decisione dell’Agenzia Italiana del Farmaco che ieri ha approvato l’utilizzo della pillola abortiva Ru486 in ambito ospedaliero, come alternativa all’aborto chirurgico, si allinea a quella presa in altri Paesi e di fatto sembra muoversi all’interno di una logica di banalizzazione dell’aborto volontario, sempre più spesso tragicamente rappresentato come un diritto della donna.
Il dibattito sulla Ru486 pone in evidenza la necessità che la moratoria sull’aborto volontario si trasformi concretamente nell’opera di rimozione delle cause che lo permettono. Oggi, tra queste cause, la più rilevante non sembra essere quella economica, ma quella culturale, che ha portato al disimpegno della società, alla scomparsa della figura e della corresponsabilità paterna, che ha accettato una linea di indifferenza che di fatto conduce alla solitudine esistenziale delle madri che decidono di abortire.
Troppo spesso dimentichiamo che la tutela dei diritti delle donne non può mai essere usata contro il diritto alla vita del figlio che hanno in grembo: nell’aborto, sebbene in misura differente, le vittime sono sempre due. Non possiamo sottrarci alla responsabilità sociale di accogliere la vita nascente, che è sempre degna di trovare cittadinanza in una società evoluta.