Farsi cinese con i cinesi. Era questo il motto, sempre attuale, di Matteo Ricci, celebre missionario gesuita. A 400 anni esatti dalla sua morte, avvenuta a Pechino, nella sua patria adottiva, la Cina, l’11 maggio 1610, l’Istituto Confucio ha organizzato l’incontro West Meets East. Un’occasione per ricordare la sua opera ma anche per promuovere le attività dell’Istituto all’interno dell’Università Cattolica di Milano.
Giovanni Gobber, della facoltà di Scienze linguistiche, presentando l’incontro non ha nascosto la sua soddisfazione: «L'arrivo dell'istituto Confucio nel nostro ateneo ci dà grande entusiasmo e soddisfazione ma ciò non ci fa certo dimenticare le responsabilità che questo impegno comporta».
A ricordare la figura, le opere e l’eredità di Matteo Ricci sono stati simbolicamente un’italiana, Chiara Piccinini, docente di Lingua e cultura cinese nella facoltà di Scienze Linguistiche, e un cinese, Ma Laiping, vicedirettore dell’Istituto di ricerca di filosofia, storia e letteratura dell’università dello Shandong.
«Matteo Ricci è un personaggio che ha più fama in Cina che non in Italia – ha spiegato Chiara Piccinini - e i suoi studi hanno permesso al mondo occidentale di avvicinarsi all’estremo oriente. Con la sua relazione De Christiana Expeditione apud Sinas ab Socjetate Jesu suscepta, grazie anche alla traduzione in latino di Nicolas Trigault che garantì all’opera una diffusione planetaria, tutto il mondo venne a conoscenza dei suoi viaggi e dei suoi studi».
«Formatosi al Collegio Romano, una delle migliori scuole dell’epoca, ebbe come maestro il matematico e astronomo Cristoforo Clavio e grazie all’interessamento di un altro illustre scienziato, Alessandro Valignano, decise di intraprendere la via dell’Oriente insieme al confratello Michele Ruggieri. Fu un viaggio molto lungo. Durò cinque anni. Partito da Roma il 18 maggio 1577, Ricci fece tappa prima a Genova e poi a Lisbona. Qui insieme a Ruggieri si imbarcò per l’India. I missionari arrivarono a Macao il 7 agosto 1582. A Macao i due si trattennero per oltre un anno per studiare la lingua e, soprattutto, la cultura cinese. Studi fondamentali che permisero ai due gesuiti, nel 1583, di entrare in una fascia di territorio proibita agli stranieri. Ma l’obiettivo di Matteo Ricci era quello di raggiungere Pechino. Ci riuscì passando per Zhaoqing, Shaozhou, Nanchang e Nanchino. Ma fu anche la sua ultima meta perché proprio a Pechino, nel 1610, Ricci morì tanto che ancora oggi la sua tomba si trova nella capitale cinese».
«Tra i numerosi meriti di Ricci – ha ricordato la Piccinini - vi fu quello di portare in estremo oriente le avanzate conoscenze scientifiche del mondo occidentale dell’epoca introducendo strumenti come l’astrolabio e l’orologio. Inoltre molto importante fu il suo contributo per quel che riguarda la geografia. Grazie alle sue conoscenze Ricci svelò il mondo ai cinesi. E proprio osservando una delle sue carte si può notare l’attenzione che egli aveva per il popolo cinese. Al centro del planisfero infatti non vi disegnò l’Europa ma la Cina».
Per Ma Laiping «Matteo Ricci rappresenta l’unione fra la cultura cinese e la bella Italia rinascimentale. Fu il primo a portare in Cina la cultura e la scienza del mondo occidentale e i suoi studi nel campo dell’astronomia, grazie anche all’introduzione di strumenti che i cinesi non conoscevano cambiò la concezione dell’universo che avevano i cinesi. Tuttavia sarebbe riduttivo attribuire a Ricci soltanto meriti scientifici perché egli, arrivando da una terra lontana, fu protagonista di cambiamenti importanti anche dal punto di vista umanistico - sociale».
«Ricci – ha spiegato Ma Laiping – inoltre introdusse tre elementi fondamentali: coerenza logica, verifica empirica nonché l’importanza della matematica, in particolare della geometria. Per quel che riguarda il calcolo Ricci lo perfezionò in modo importante riesaminando e riordinando la matematica tradizionale cinese che, in quel periodo, si basava ancora su presupposti fortemente legati alla superstizione». L’accademico cinese ha poi voluto esprimere la sua posizione sull’accusa, spesso mossa ai gesuiti, di aver ostacolato il diffondersi della scienza. «L’esperienza di Matteo Ricci – ha sentenziato -dimostra che questa teoria è priva di fondamento, i gesuiti, al contrario, contribuirono in modo importante al superamento della scienza medievale».
Ma Laiping ha poi concluso il suo intervento con un’osservazione sulla naturale vocazione cosmopolita degli studi scientifici: «La scienza moderna nasce in occidente con il contributo fondamentale del mondo arabo e occidentale. Gli scienziati hanno una patria ma la scienza non ha confini».