«Viviamo nel tempo corto della cronaca. Sta lì l’origine della nostra indigenza di uomini contemporanei e della crisi della narrativa.» Esordisce con questa dura analisi della modernità Antonio Scurati. Per chiudere il Corso di alta formazione in Scrittura Creativa, lo scorso 29 giugno, lo scrittore e editorialista de La Stampa ha scelto di tenere una lezione dal titolo piuttosto criptico: “Cronisti del nulla. La letteratura, la violenza, l’inesperienza”. Una chiave per riflettere su tanta parte della produzione letteraria italiana attuale, troppo schiacciata sull’imperativo della cronaca.

«La cronaca non è più, per noi, uno dei tanti modi di raccontare il tempo presente. È diventata invece, il criterio generale del nostro sentimento del tempo. Misuriamo su di esso, esclusivamente su di esso, le nostre esistenze. Ed è un metro corto. La vita, se vissuta nell’orizzonte angusto della cronaca, si cronicizza in una malattia inguaribile di lungo decorso. Gli scrittori che si limitano a guardare solo alla cronaca diventano cronisti del nulla: adottando il metro corto della cronaca si rischia di non narrare niente.»

Scurati fa un breve excursus letterario e nota come da sempre, dai poemi omerici alla produzione novecentesca, passando per la Bibbia, il punto di partenza dello scrivere sia sempre una dimensione che proviene da lontano, da altrove, non solo dal quotidiano. Lo scrittore guarda al proprio tempo, ma lo travalica, si rivolge alla posterità: «Non scrive per piacere alla propria portinaia!» E assolve il suo compito di interprete e cantore del proprio tempo facendo i conti con un elemento universale e sempiterno: il senso del tragico. Sentimento quest’ultimo che purtroppo non ha diritto di cittadinanza nel ventunesimo secolo.  


 


«Nell’Iliade, nell’Odissea o in qualsiasi altro testo classico, quando un personaggio muore noi lettori piangiamo perché sappiamo che muore al nostro posto. Nei talk-show che vediamo quotidianamente i protagonisti della cronaca nera muoiono e noi tiriamo un sospiro di sollievo pensando che loro sono morti e noi no.»

Temi quelli trattati con gli studenti che costituiscono il cuore delle sue opere principali La letteratura dell’inesperienza (Bompiani 2006), Il Sopravvissuto (Bompiani 2005, Premio Campiello 2005), Il bambino che sognava la fine del mondo (Bompiani 2009), e Gli anni che non stiamo vivendo (Bompiani 2010).

Nonostante il quadro tracciato sia piuttosto apocalittico, Scurati è però convinto che fare letteratura sia ancora possibile. A una condizione: rintracciare il respiro tragico e perciò universale della vita. Questa la sfida lanciata dal giornalista ai diciassette aspiranti scrittori sfornati dal VII Corso di Scrittura Creativa.

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