I test molecolari rapidi per la diagnosi di Mrsa, il temuto Staphylococcus aureus resistente alla meticillina, non sembrano avere effetti positivi sul controllo di uno dei più pericolosi agenti patogeni causa di infezioni nosocomiali nel mondo, responsabile ogni anno in Europa di circa 50.000 decessi.
Questi i risultati di uno studio condotto dagli infettivologi dell’Università Cattolica di Roma, in collaborazione con l’Istituto di Igiene dell’Ateneo, guidati da Roberto Cauda (nella foto), direttore dell’Istituto di Clinica delle Malattie infettive del Policlinico Gemelli, e pubblicato sul numero di settembre della rivista “Lancet Infectious Diseases”(Rapid screening tests for meticillin-resistant Staphylococcus aureus (Mrsa) carriage at hospital admission: a systematic review and meta-analysis).
Scopo dello studio era quello di comparare l’efficacia dei test molecolari rapidi e di quelli convenzionali per la diagnosi di Mrsa effettuati nei pazienti al momento dell’ospedalizzazione nel ridurre le infezioni nosocomiali da Stafilococco aureo resistente alla meticillina.
La metodica convenzionale più largamente utilizzata per la ricerca di pazienti “colonizzati” da Mrsa è la coltura dei tamponi nasali, i cui risultati sono disponibili in 48-72 ore. Negli ospedali dove è attiva la sorveglianza, i pazienti vengono dunque sottoposti a tampone nasale al momento dell’ospedalizzazione. In caso di risultato positivo per Mrsa, il paziente colonizzato viene posto in isolamento da contatto in stanza singola, o in stanze comuni ove sono ricoverati solo pazienti colonizzati o infetti, riducendo così le possibilità di contatto, e quindi di diffusione, da paziente colonizzato a paziente non-colonizzato.
Le nuove tecniche rapide utilizzano invece metodiche molecolari, che forniscono il risultato in 4-5 ore. Il presupposto epidemiologico per l’introduzione di questi nuovi test, molto più costosi degli esami colturali utilizzati finora, deriva dall’ipotesi che una diagnosi di Mrsa effettuata in poche ore, invece che in 2-3 giorni, permette al medico di isolare immediatamente il paziente positivo, che quindi non può più fungere da vettore di infezione e contribuire alla trasmissione di Mrsa nell’ospedale.
«Nel nostro studio – spiega Roberto Cauda - sono stati analizzati tramite meta-analisi, una tecnica statistica sofisticata per la valutazione dell’evidenza scientifica, oltre 170.000 pazienti inclusi in 9 studi di tipo interventistico e un trial clinico randomizzato». «I risultati - continua l’infettivologo Cauda - hanno dimostrato che, laddove i test rapidi vengono utilizzati in reparti ove è già in corso una sorveglianza attiva tramite esami colturali convenzionali, non si assiste ad una riduzione significativa dell’acquisizione ospedaliera di Mrsa. Se invece l’introduzione dei test rapidi viene effettuata in reparti ove non esiste alcun sistema di screening, si assiste a una riduzione delle sepsi causate da Stafilococco aureo resistente alla meticillina».
Tuttavia tale riduzione non si verifica per tutti i tipi di infezione. «Le infezioni chirurgiche causate da Mrsa – continua Evelina Tacconelli, ricercatore di Malattie infettive alla Cattolica di Roma e coautrice dello studio- non vengono significativamente ridotte dall’applicazione dei test rapidi per lo screening. Le cause più frequenti, negli studi analizzati, sono state la difficoltà nell’ottenere i risultati dei test prima degli interventi chirurgici effettuati in urgenza e l’assenza di modifica della profilassi chirurgica utilizzando farmaci efficaci verso Mrsa».
Nei pazienti che devono essere operati con urgenza la colonizzazione pre-operatoria è particolarmente grave in quanto, se non eliminata prima dell’intervento, aumenta in modo significativo il rischio di infezione da Mrsa post-intervento. Se si conosce lo stato di colonizzazione, è possibile effettuare una profilassi pre-operatoria con antibiotici che riducono nettamente il rischio di infezione. Nei casi d’urgenza, però, il risultato potrebbe essere disponibile solo dopo che l’intervento è stato già effettuato.
«Dato l’incremento dei casi di infezione da Mrsa in comunità e in ospedale che si è verificato negli ultimi anni in tutto il mondo e l’alto costo dei test rapidi, - concludono Cauda e Tacconelli - crediamo che i risultati di questo studio avranno un grande impatto in ambito infettivologico e di sanità pubblica a livello nazionale e internazionale. Alcuni Paesi, tra cui anche alcuni Stati degli USA, hanno reso obbligatorio questo tipo di test al momento del ricovero in ospedale. A nostro parere, al momento, non sono disponibili sufficienti dati per la diffusione di questi test in tutti gli ospedali, ma sono necessari nuovi studi da effettuare con metodiche statistiche appropriate e, in particolare, in popolazioni a rischio di infezioni da Mrsa, quali gli anziani e i pazienti in terapia intensiva o che effettuano dialisi».
Lo studio dimostra dunque che non esiste evidenza scientifica sufficiente a supportare l’utilizzo su larga scala dei test molecolari rapidi per Mrsa, molto più costosi delle tecniche colturali convenzionali. «La rilevazione dell’assenza di evidenza scientifica – auspicano gli infettivologi - sarà di stimolo per nuovi studi, che potranno così definire meglio i pazienti a rischio che avranno maggiore giovamento dall’utilizzo di questi test rapidi».