«In una biblioteca si è in presenza di un grande capitale silenziosamente fruttifero»: la pensava così Johann W. Goethe, che, oltre che scrittore, poeta, drammaturgo, fu bibliotecario della Herzogin Anna Amalia Bibliothek di Weimar. Per spiegare il suo punto di vista impiegò un trittico di parole - capitale, rendimento, interesse - inusuale presso l’intellighenzia di allora. Da quello stesso presupposto, cioè dall’idea di biblioteca come impresa sui generis, gestita secondo logiche aziendali, anche Klaus Kempf, direttore della Biblioteca Statale di Monaco di Baviera, ospite lo scorso 25 gennaio del ciclo di approfondimenti, sul tema “L’Uomo e il denaro”, promosso dall’Associazione per lo Sviluppo degli studi di Banca e Borsa.
La Bayerische Staatbibliothek è, con i suoi dieci milioni di volumi e più, la più grande biblioteca comunale della Germania dopo quella di Berlino, quarta al mondo come numero di codici manoscritti, ma prima, insieme alla British Library, per la quantità di incunaboli conservati. Come ha spiegato Kempf, la Statale Bavarese deve la sua fortuna all’impianto aziendale, fondato su tre principi base: oltre alla qualità delle collezioni, la quantità di esse e la qualità dei servizi offerti.
Nell’epoca digitale la biblioteca, istituto antico per antonomasia, deve sapere mantenere il passo coi tempi, adoperandosi per una grande collaborazione e cooperazione nel costruire e gestire in rete le collezioni digitalizzate, nonché curando nei minimi dettagli l’erogazione dei servizi. A tal fine, è anche fondamentale il dialogo con utenti e studiosi, per trovare le soluzioni migliori. «Sta a noi la costruzione della società della conoscenza in modo globale. Non rischiamo il crollo della Torre di Babele per egoismo e gelosia, difetti molto comuni tra i bibliotecari».
La Biblioteca Statale Bavarese è così diventata il primo partner tedesco di Google a cui, dall’anno scorso, ha messo a disposizione il contenuto dei suoi libri. In Europa, più veloci di lei, sono solo le biblioteche di Oxford e Madrid. Per l’esattezza, si è proceduto con la digitalizzazione di 10mila incunaboli, di 37mila cinquecentine della lingua tedesca e di circa un 1 milione di opere (dal Seicento in avanti, cioè fino alla fine dell’Ottocento) non soggette al diritto d'autore. «Con il Google Book Searching, una grande partnership tra pubblico e privato, apriamo la nostra biblioteca al mondo e compiamo un passo avanti decisivo nell'era del digitale per avvicinarci al vero scopo di qualunque biblioteca: rendere disponibili libri e conoscenza. Si tratta di un'impresa entusiasmante, volta ad aiutare i lettori di tutto il mondo a scoprire la ricca tradizione letteraria della Germania online, da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento». Lo staff della Bsb ha calcolato che, grazie a questo progetto, lo Stato tedesco potrà risparmiare 50 milioni di euro.
Tutta la storia della biblioteca di Monaco si sviluppa a partire dal forte legame tra sapere e potere, ben esemplificata dal ruolo che i mecenati ricoprivano all’interno della società. La sua istituzione, ad esempio, fu causa della prima bancarotta dello stato bavarese. Alberico V e Guglielmo V, padri fondatori, erano tra i più grandi collezionisti europei del Cinquecento. I costi delle collezioni, la costruzione delle ubicazioni, le spese di rappresentanza, mandarono la Baviera sul lastrico: riuscì a salvarla solo una complicata operazione testamentaria studiata dal Alberto V e dal principe Massimiliano I, alias “il salvatore delle finanze”. La Biblioteca venne dichiarata fedecommesso di famiglia, tesoro di famiglia.
Tra le prime acquisizioni – la biblioteca di Widmanstetter, cancelliere di Ferdinando I e quella di Monaco, acquisita da Johann Jakob Fugger, banchiere, commerciante e collezionista che portò avanti le trattative con grande malizia, da affarista navigato quale era. Poi - a conferma del fatto che «i libri erano come armi: più volumi possedevi, più potere avevi», come racconta Kempf - agli inizi del XXI secolo la Biblioteca di Monaco, dal 1803 ufficialmente Biblioteca dello Stato di Baviera, beneficiò anche della secolarizzazione delle biblioteche ecclesiastiche, che andò ad accrescere di sei/sette volte il suo patrimonio. Pochi anni dopo, Neumann e Halm cominciarono a concepire la biblioteca come “investimento culturale”: Cina e Oriente reclamavano un loro posto nel mondo umanistico, e loro glielo concessero, rendendo la Bsb una delle biblioteche più complete nel campo della sinologia.
Nei secoli, tra un accordo losco e una contrattazione diplomatica, tra un lascito privato e un investimento per il futuro, personalità di spicco hanno elaborato eccellenti strategie per rendere la Biblioteca Statale Bavarese ciò che oggi è, vale a dire, citando Kempf, «uno dei pochi posti davvero democratici, dove si è liberi di accedere all’informazione».