La valutazione come diagnosi dei punti deboli dell’Università e come strumento utile per orientare studenti e imprese. È solo una delle molteplici riflessioni emerse durante il quarto “Laris Day” che ha avuto per tema “Valutare la formazione universitaria. La qualità dei laureati italiani”. L’evento è stato promosso dal Laboratorio di ricerca e intervento sociale (Laris), coordinato da Enrico Maria Tacchi, e si è svolto lo scorso 26 ottobre nell’Aula Magna Tovini dell’Università Cattolica di Brescia. Dopo i saluti di apertura del direttore di sede Luigi Morgano, del preside della facoltà di Scienze della formazione Michele Lenoci e del direttore dell’Ufficio scolastico regionale Giuseppe Colosio, il convegno si è aperto con le relazioni di esperti nel settore della valutazione universitaria e del rapporto tra atenei e mondo del lavoro.
Luigi Frudà, docente all’Università La Sapienza di Roma, è convinto che la sopravvivenza dell’università è basata sulla qualità e che serve una maggiore integrazione tra apprendimento e lavoro. «Per questo motivo – ha affermato - la valutazione deve essere intesa come un’occasione positiva per riconoscere e rafforzare le debolezze interne agli atenei». È della stessa idea anche Mauro Palumbo, docente dell’Università di Genova, secondo cui la valutazione è essenzialmente un giudizio che può essere utilizzato per orientare gli studenti e le famiglie, ma anche le imprese e i datori di lavoro. Non bisogna quindi temere i risultati delle indagini, ma bisogna saperli sfruttare: «Tutto ciò che è decidibile è valutabile».
Il presidente dell’Associazione Italiana di valutazione (Aiv), Alberto Vergani, ha sottolineto che nello svolgere una ricerca sono importanti due fattori: le chiavi interpretative, per leggere il fenomeno oggetto di studio, e le fonti, che servono per dare attendibilità alla classifica. Secondo Vergani le classifiche sono solo uno degli esiti possibili dei processi di valutazione, ma non sono l’unico modo di rielaborare i risultati delle ricerche. In linea con questo pensiero è anche Renato Zaltieri (nella foto), segretario generale della Cisl di Brescia, che è intervenuto nella seconda parte del convegno dedicata al confronto con le istituzioni presenti sul territorio bresciano. Il sindacalista ha illustrato come una valutazione indiretta della formazione universitaria può essere ravvisata nell’accoglienza che il mercato del lavoro riserva nei confronti dei laureati, con particolare riferimento alla coerenza tra sbocchi professionali offerti e titoli di studio conseguiti. Un altro punto debole delle classifiche è quello di offrire risultati molto diversi a seconda dei parametri scelti. Ne è convinto Saverio Gaboardi, presidente Isfor 2000, che ha espresso la necessità di trovare un metodo condiviso per i processi di valutazione, così come sarebbe molto utile per le aziende avere risultati segmentati, cioè in rapporto al territorio locale.
Anche il Sistema Camerale italiano con Unioncamere realizza ogni anno delle ricerche volte a ricostruire il quadro previsionale della domanda di lavoro e dei fabbisogni professionali e formativi espressi dalle imprese come ha spiegato Massimo Ziletti, segretario generale della Camera di Commercio di Brescia, che ha confermato la tendenza sempre maggiore all’assunzione di figure professionali di livello elevato. Le aziende vivono di competitività e l’università deve essere in grado di offrire delle risorse che aiutino ad essere competitivi.