di Lorenza Tullio *
Un’esperienza che ha fatto emergere la parte più spontanea di me, forse la migliore. Dopo il mio Charity Work Program in Terra Santa nel mio cuore ora ci sono molte persone, la mia anima ha vissuto storie di altri, che ora sono diventate anche le mie e nel mio bagaglio si sono accumulati semplici ma importanti insegnamenti che mi auguro di coltivare e custodire affinché questa spaccato di vita non sia solo un capitolo della mia esistenza.
Durante il periodo estivo il Centro Santa Rachele di Gerusalemme apre le sue porte accogliendo la popolazione più fragile di Israele: 70 bambini figli di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Una struttura che per i bambini, così come per i volontari, è un luogo protetto e genuino dove crescere, dove si accoglie la diversità e la si incoraggia.
Porto a casa aneddoti simpatici, sorrisi, balli e musiche, ma anche racconti di momenti difficili. E questo mi porta a convivere con una sensazione di impotenza che genera in me inquietudine e nervosismo. Però, l’impressione di aver contribuito in minima parte a “qualcosa di buono” lascia spazio alla consapevolezza che anche il poco è tanto e che - come mi hanno ricordato - nulla di ciò che ho donato andrà mai perso.
Un pensiero durante l’arco della mia giornata andrà sempre ai nostri bambini: li chiamo i “nostri” bambini non solo perché dovremmo interessarci di più a ciò che ci accade attorno, ma anche per ricordarci che a erigere muri – materiali o invisibili, in Italia o a 5.000 chilometri- c’è chi rimane al di là.
Nella mia vita non ho mai vissuto i panni di uno straniero, invece durante il mio periodo a Gerusalemme non ho faticato a comprendere questa condizione. Con tristezza ho riflettuto su come si possa crescere in un simile contesto, quando non ti senti voluto e accettato da nessuno. È stato in quell’esatto momento che ho iniziato a comprendere gli atteggiamenti delle piccole pesti e, infine, anche ad amarli.
Le foto della mia esperienza non sono nitide, nella maggior parte i soggetti - me compresa - sono in movimento. Quegli scatti non hanno nulla di comparabile con quelle dei cataloghi delle esperienze internazionali. Eppure, una cosa è certa: i colori e i sorrisi sono autentici e rappresentano in toto la mia esperienza: piena, vera, colorata, in movimento e vitale.
È bello partire, ma è anche bello tornare. Tornare cambiati è forse ancora più bello, ma è, allo stesso tempo, un’affermazione audace e una pretesa troppo grossa rapportata a soli ventuno giorni. Ma se solo ho innescato in qualcuno dei miei lettori la voglia di partire o di tornare allora ho fatto centro.
* 25 anni, di Vasto (Ch), laureata magistrale in Politiche europee e internazionali, facoltà di Scienze politiche e sociali, campus di Milano. Volontaria e animatrice delle attività estive del Centro Santa Rachele di Gerusalemme all’interno del Vicariato cristiano per i cattolici di lingua ebraica