Offrire stabilità e prospettiva. È il cuore delle politiche attive per rispondere alla grande incertezza che aleggia tra le nuove generazioni secondo il ministro della Famiglia e delle pari opportunità Elena Bonetti, che ha concluso questa mattina il webinar di presentazione della ricerca dell’Istituto Toniolo “Impatto di Covid-19 sui progetti di vita dei giovani europei”, la prima ricerca in Europa ad affrontare l’impatto della pandemia tra le persone comprese tra i 18 e i 34 anni. «Un vero e proprio choc», come ha detto il rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli, introducendo l’incontro moderato dal direttore della comunicazione Daniele Bellasio: «un colpo duro e preoccupante che ha a che fare con la costruzione della società di domani e che si è abbattuto su una condizione di fragilità economico-sociale dei giovani, soprattutto su quelli con livello di istruzione più basso. Dimostrando così l’utilità dell’istruzione per battere la crisi».
La ricerca, presentata dal demografo dell’Università Cattolica Alessandro Rosina, coordinatore del gruppo di lavoro costituito dal ministero della Famiglia, è stata condotta da Ipsos in partnership con il ministero tra la fine di marzo e l’inizio di aprile 2020 e ha interessato un campione rappresentativo di giovani di età compresa fra i 18 e i 34 anni: 2.000 in Italia e 1.000 in Germania, Francia, Spagna e Regno Unito.
Dall’indagine emerge che oltre il 60% degli intervistati italiani ritiene che l’emergenza sanitaria avrà conseguenze negative sui propri piani per il futuro, seguiti a breve distanza dai giovani spagnoli. Meno preoccupati sembrano essere, invece, francesi e tedeschi (a percepire tale rischio sono rispettivamente il 46% e il 42%).
In particolare, sono proprio i giovani del nostro Paese coloro che più di tutti gli altri coetanei europei hanno abbandonato - e non semplicemente posticipato - i propri progetti di vita, almeno nel breve termine. In particolare, per quanto riguarda l’intenzione di andare a convivere, sposarsi e avere figli, lo scarto arriva oltre i 20 punti percentuali con i giovani tedeschi, i più ottimisti nella possibilità di lasciare pressoché immutati - o solo posticipati - i propri piani.
Tra chi, a inizio 2020, prendeva in considerazione la possibilità di concepire un figlio entro l’anno, ad aver messo da parte (momentaneamente ma a tempo indeterminato) tale intenzione è il 36,5% degli italiani, contro il 14,2% dei tedeschi (il 29,2% degli spagnoli, il 19,2% dei britannici e il 17,3% percento dei francesi).
Più in dettaglio, tra gli under 35 italiani, l’abbandono di tale scelta riguarda più della metà dei lavoratori autonomi e a progetto (52,3%), contro il 26,8% dei lavoratori in condizione più stabile (con reddito più continuo).
Rilevante è anche il genere rispetto alla condizione di vulnerabilità. Le donne, infatti, vedono tendenzialmente più a rischio i propri progetti di vita rispetto agli uomini. In Italia il 67% delle donne contro il 55% degli uomini ritiene che i propri progetti di vita siano a rischio. Il divario di genere è minore negli altri Paesi europei considerati nell’indagine, e in particolare in Francia, dove il divario è quasi nullo (attorno al 45%).
Secondo il professor Rosina, non basta più fare attenzione solo alla curva epidemiologica di Covid-19. «Occorre monitorare anche quella dell’evoluzione del sistema di rischi/opportunità all’interno del quale i giovani collocano le proprie scelte, per favorire politiche attive mirate. Davanti a questa sfida i giovani intravedono, infatti, anche delle opportunità (con una fiducia più alta tra le ragazze) e hanno scoperto una capacità di far fronte ai cambiamenti che non immaginavano: questo sentimento va incoraggiato a diventare energia positiva per il paese».
Una considerazione condivisa anche da Laura Linda Sabbadini, direttrice centrale per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche Istat: «In Italia abbiamo più rinuncia di fronte ai progetti di vita ma nello stesso tempo anche più attivazione rispetto agli altri Paesi. Sono esagerate le accuse ai giovani di una scarsa progettualità». Come sostiene Corrado Bonifazi, demografo e dirigente di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto di Ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, che ritiene la ricerca tempestiva e originale «non siamo di fronte al pessimismo da bamboccioni, ma alla valutazione razionale dei giovani italiani».
Il problema, prosegue la dottoressa Sabbadini, è che «non ci sono basi che li possano aiutare a tradurre i loro progetti. Ci sono condizioni infrastrutturali e di occupazione giovanile su cui bisogna investire come non si è mai fatto prima. Quanto potremo andare avanti con la mancanza di un passaggio intergenerazionale?».
Questo è il coraggio da mostrare, afferma il ministro Elena Bonetti, che ha manifestato la volontà di dare un seguito alla ricerca. «Se non lo facciamo adesso che stiamo mettendo in campo tanti interventi anche in deficit, costruiremmo un’ipoteca invece che un vero investimento». Secondo il ministro, «dobbiamo praticare una politica dei processi, che sappia sostenere percorsi di protagonismo individuale. È la capacità di saper riconoscere, con lo sguardo del profeta, le direzioni di medio termine, per non essere naufraghi della storia».
Di fronte alla grande incertezza generata dalla pandemia, «bisogna offrire una prospettiva. Per questo non è necessario dare la certezza del percorso ma la stabilità degli strumenti per essere accompagnati nella transizione». «Dobbiamo chiedere un protagonismo dei giovani – conclude il ministro – non basato solo sul loro coraggio, un cammino non di solitudine ma di comunità».
Il rettore Franco Anelli, nel concludere il webinar, chiede di «instaurare una relazione tra le necessità dell’emergenza e quelle del futuro». Soprattutto dal punto di vista dell’università che è un’istituzione deputata a costruire il domani. «Non dobbiamo dimenticarci - afferma - che viviamo una società più classista di quanto vogliamo ammettere, perché ci sono persone che hanno accesso a una formazione anche internazionale e altri che non ce l’hanno. Il problema, dunque, non è combattere solo le situazioni più drammatiche e che colpiscono le fasce più basse (come l’abbandono scolastico) ma anche lo scarto tra chi arriva a una soglia minimale di formazione e chi accede a un livello più alto, che permette di affrontare la sfida di una competizione sempre più internazionale. Occorre garantire al numero maggiore di persone le condizioni di partenza per migliorare la propria condizione con le sue capacità e il suo impegno. Nella formula classica questo si traduce nel garantire opportunità e poi lasciare che ciascuno se le giochi. In Italia, spesso, l’abbiamo reso con una formula più sintetica: “Arrangiatevi”. Se ce la fate avrete un’esistenza dignitosa, altrimenti non ce la farete. Noi dobbiamo recuperare l’incentivo a valorizzare le proprie capacità e a investire su se stessi, offrendo al numero più alto di persone la possibilità di accedere agli studi universitari».