di Alessandra Tempini *
Ero partita per un Erasmus nel nord dell’Europa e ho finito per restare in Norvegia per quasi un anno. Quando mi sono iscritta al programma, nel gennaio del 2009, l’ho fatto, in tutta onestà, quasi per gioco. Mai e poi mai avrei pensato, insomma, che di lì a 8 mesi mi sarei trovata catapultata in un altro mondo, in un’altra cultura, in un altro clima e, diciamocelo, quasi in un altro continente. Il fatto è che, una volta ricevuta l’e-mail di conferma dell’accettazione della mia domanda, tutto è successo quasi spontaneamente, come se non potessi controllarlo. E così poco tempo dopo ero su un aereo, con quasi 50kg di bagagli, senza la benché minima idea di cosa aspettarmi, con tanta eccitazione, ma anche tanta paura. Era la mia prima esperienza all’estero per più di un paio di settimane e l’idea di viverla totalmente da sola mi terrorizzava non poco.
L’inizio non è stato dei migliori, in quanto mi sono trovata a dover affrontare l’improvvisa mancanza dell’alloggio nella residenza studentesca che mi era stato assicurato, dovuta alla troppa affluenza di studenti stranieri (così mi dissero) e a passare così la prima notte in un ostello senza nemmeno sapere dove avrei dormito il giorno dopo. Ma quella che in principio mi era parsa come la peggiore delle disgrazie che potevano capitarmi si è rivelata l’inizio dell’esperienza indimenticabile che ora cercherò di riassumere. Dopo aver passato alcune notti in hotel (sì, lo ammetto, non ho resistito molto in ostello!) io e degli altri ragazzi abbiamo deciso di andare a chiedere aiuto al consolato italiano, dove (ovviamente) il console non c’era ma dove ho incontrato una gentilissima signora che mi ha offerto di stare da lei per un po’, finché non avessi trovato un altro posto dove stare o non mi avessero dato la mia stanza nella residenza.
E fu così che iniziò il mio periodo di “adozione” da parte dei Kilås, la fantastica famiglia norvegese che mi ha ospitata (gratis!) per più di un mese e mezzo, dandomi consigli, insegnandomi tantissime cose e, soprattutto, incoraggiandomi a non mollare e non tornare a casa, anche se era difficile, anche se mi mancavano i miei cari, anche se il tempo era orribile (pioggia ininterrotta per settimane, freddo, vento…). Questo fortunatissimo incontro con la famiglia Kilås mi ha inoltre permesso di scoprire molto della cultura e delle abitudini dei norvegesi, e mi ha anche dato modo di rilassarmi un po’ e prendere una pausa dalla disperata ricerca di casa. Ho potuto così concentrarmi più sul lato “turistico” di Trondheim, che fino ad allora non avevo avuto modo di apprezzare, se non per visitare ipotetici appartamenti in affitto. Si è rivelato infatti un paesino piccolo ma molto carino e ordinato, attraversato da un lungo fiume, il Nidelva, che si perde nel fiordo, ed è affiancato delle caratteristiche case norvegesi di legno colorate.
Ma una volta ricevuta la notizia che la mia camera era disponibile, la prospettiva di lasciare Anne e Lars (quelli che ancora oggi chiamo i miei “genitori norvegesi”) era tutt’altro che felice, anche se fino a qualche tempo prima quella residenza mi sembrava un sogno irrealizzabile. Tuttavia, anche la mia seconda tappa norvegese nello studentato si è rivelata positiva per molti aspetti, poiché mi ha dato la possibilità di incontrare tantissimi ragazzi da tutto il mondo e vivere a pieno l’esperienza Erasmus, anche se non mi ha permesso di stare molto a contatto coi norvegesi, in quanto era molto fuori dal centro (45 minuti a piedi lungo strade ripidissime) ed era soprattutto per studenti stranieri.
Intanto anche le lezioni erano iniziate e l’andirivieni dalla sede staccata (quella delle materie umanistiche) alla residenza era diventata ormai parte delle mie attività quotidiane. Le lezioni erano tutte molto interessanti e con un rapporto studente-insegnate che oserei dire abbastanza diverso dal nostro. In Norvegia le lezioni sono molto più improntate sul pratico che sul teorico, quindi su progetti, lavori di gruppo, esposizioni alla classe, discussioni. Il professore è spesso assimilabile più alla figura del mediatore, che non del “mentore” che si ascolta in silenzio prendendo appunti su quel che dice. L’ho trovato un approccio molto stimolante e creativo, anche se all’inizio mi ha un poco spiazzata, non essendoci molto abituata. Ma cercavo comunque di imitare i ragazzi norvegesi che si muovevano con molto agio nelle spiegazioni dei professori, intervenendo, facendo molte domande e a volte facendo persino obiezioni o iniziando discussioni. Gli studenti sono inoltre tenuti a superare una serie di prove scritte in itinere al fine di essere ammessi all’esame finale, che si svolge in maniera più o meno simile ai nostri, se non fosse che i norvegesi sono molto più fiscali. A ogni esame viene infatti data a ciascuno studente una matricola che sostituirà il suo nominativo sulla carta ma che verrà poi ricollegata allo studente una volta assegnato il voto. Senza contare che c’è un addetto che ti segue persino quando vai in bagno.
Insomma, i mesi passavano senza che nemmeno me ne accorgessi e mi rendevo conto che quel posto che prima odiavo sarebbe stato davvero difficile da lasciare, molto più difficile del previsto. E così ho deciso di prolungare la mia permanenza per altri cinque mesi, che si sono poi rivelati i migliori di tutto il mio Erasmus. Tornata in Norvegia dalle vacanze di Natale, infatti, ho trovato un appartamento in centro con una mia amica e un’altra ragazza norvegese e ho cominciato a frequentare un’associazione studentesca norvegese che gestisce un bar/ristorante/discoteca chiamato Studenter Samfundet (Associazione di Studenti in norvegese) per il quale lavoravo gratis 8 ore alla settimana e attraverso il quale ho conosciuto tantissima gente interessante (soprattutto norvegesi), imparato un po’ la lingua e provato l’esperienza di far parte di una vera e propria società che vanta ben un secolo di esistenza. È qui che ho incontrato le persone più straordinarie di tutto il mio anno norvegese, quelle che ancora mi accolgono con entusiasmo tutte le volte che torno a trovarli, cosa che succede abbastanza spesso devo dire.
Inutile dire quindi che questo secondo semestre è passato ancora più velocemente del precedente ed è stato ancora più difficile affrontare il ritorno a casa, che è stato comunque non troppo traumatico, essendo stato durante l’estate. Una cosa (una delle tante) davvero positiva che mi è rimasta da questa esperienza è sicuramente la voglia di viaggiare, scoprire posti e culture nuove e aprire i miei orizzonti, ma soprattutto la possibilità materiale di farlo, e in una maniera totalmente diversa da quella a cui ero abituata prima. È tutta un’altra cosa, infatti, visitare una città attraverso guide turistiche e fredde piantine con le attrazioni principali sottolineate in grassetto, e visitarla con un vero autoctono che ti mostra i posti più interessanti, ma non necessariamente più turistici e le attrazioni che ritiene più significative del posto in cui vive. In più, hai la possibilità di alloggiare gratis, e da un amico, uscire coi suoi amici, e vivere la città come se davvero fosse la tua.
Io credo che tutto questo sia impagabile, e ripaghi sicuramente di tutte le spese, degli sforzi e dei disagi che chiunque debba affrontare per lanciarsi in questa avventura magnifica che è l’Erasmus!
* 22 anni, di Muscoline (Bs), iscritta al primo anno corso di laurea specialistica del curriculum di Lingue e Letterature Straniere, sede di Brescia