Concludiamo con l’articolo di Alberto Quadrio Curzio, professore emerito di Economia politica dell’Università Cattolica e presidente emerito dell’Accademia dei Lincei, il dibattito avviato dal convegno “Chierici, cortigiani, battitori liberi. Quale ruolo per gli intellettuali?” promosso dal centro di ricerca “Letteratura e cultura dell’Italia unita” il 30 ottobre scorso a Milano. In quell’occasione il professor Giuseppe Lupo ha lanciato un dibattito a cui hanno aderito alcuni docenti della Cattolica.
Nel rapporto tra intellettuali e potere occorre tenere conto del contesto in cui si svolge la vita sociale e la sua proiezione politico-istituzionale. Questo è attualmente segnato dal tramonto, o almeno dall'indebolimento severo, delle grandi culture di massa e delle ideologie che, al prezzo di omologarla, aiutavano però le persone a filtrare gli apporti culturali e a leggerli e discernerli nella loro chiave interpretativa e nei loro orizzonti “valoriali “di fondo.
L'affievolimento di questa funzione di mediazione svolta dalle grandi architetture di pensiero, che vantavano comunque forte radicamento popolare, ha rafforzato la distanza tra le sedi del potere e la cultura popolare.
In questo quadro, la funzione preminente dell'intellettuale, al di là del compito di rigore e di onestà culturale che sempre lo deve contraddistinguere, può connotarsi per un compito paziente di cucitura tra la dimensione istituzionale e la cultura popolare.
La dimensione istituzionale è più che mai esposta al rischio della spregiudicatezza e della precarietà della comunicazione politica, che cattura opinioni volatili mediante sondaggi più che orientamenti culturali solidi così assecondando anche istanze (se non addirittura istinti) apparentemente rigorosi ma nella sostanza rancorosi.
Di fronte a questo rischio, l'intellettuale deve resistere alla tentazione della cortigianeria e cioè di mettere le proprie competenze al servizio del potere e recuperare piuttosto una dimensione profetica che tenga conto della dimensione storica e che richiami costantemente il potere alla sua responsabilità e denunci i suoi tradimenti, spesso condensati in parole d’ordine, con i pericoli che essi comportano.
Ma, nell'esercitare questa funzione, l'intellettuale stesso deve rinnovare il suo stile, accantonando un mero stile provocatorio e destrutturante, utile quando la società era irrigidita nelle sue cristallizzazioni. L’intellettuale deve volgersi piuttosto alla problematizzazione, aiutando così a leggere le poste in gioco e la complessità delle vicende, riaffermando il ruolo critico della cultura e il valore gradualistico e relativo delle soluzioni. Le modalità applicative di questo metodo sono svariate e di recente, soprattutto per iniziativa di Filippo Pizzolato, abbiamo considerato in un volume edito dal Mulino (“il Mostro Effimero”) il fenomeno della “disintermediazione” (economica, sociale, politica, etc.) dove dinamiche globali aggrediscono le strutture del politico e del giuridico a cui siamo adusi. Di fronte a tali forze abbiamo valutato l’importanza dei corpi intermedi e il loro ruolo, soprattutto nelle democrazie dell’Unione europea come luogo di maturazione e di espressione del pluralismo sociale.
Si arriva qui a scelte di fondo ideali e valoriali che in una buona democrazia possono essere variegate ma che mai dovrebbero essere offensive della libertà di opinione, di proposta e di dissenso. Ma nello stesso tempo sempre vigili ad affermare ideali e valori tra i quali noi abbiamo sempre propugnato quelli del solidarismo creativo e del liberalismo sociale, della sussidiarietà verticale, orizzontale e diagonale. Tutti modelli che emergono chiari anche dalla Costituzione Italiana e dai Trattati europei. Trattasi della Civiltà Europea.
In conclusione. Siamo in un momento storico in cui il dileguarsi delle grandi visioni (ideologiche) del mondo è travolto dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione che induce ad un’eccessiva semplificazione della realtà e ne restituisce un’immagine, potremmo dire, bidimensionale di presentazione (non oggettiva) e di interpretazione (distorsiva).
Il compito dell’intellettuale dovrebbe essere, allora, quello di scorgere e mostrare, grazie al “privilegio della riflessione” la “terza dimensione” della realtà: quel punto di appoggio esteriore rispetto al quale è possibile leggerla al riparo dalla spregiudicatezza dei cacciatori di facili consensi.
In questo senso, possiamo dire che l'intellettuale deve giocare un ruolo ricostruttivo, non però dal versante del potere, ma più su quello della cultura civile e del dialogo tra parti, a favore della quale egli deve contribuire a ricostruire criteri di discernimento e di giudizio critico.
* professore emerito di Economia politica dell’Università Cattolica e presidente emerito dell’Accademia dei Lincei
Contributo conclusivo di una serie di articoli dedicati al ruolo degli intellettuali