Il potere non logora chi ce l’ha. Dipende da come ne fa uso ma soprattutto, da come lo utilizza. E questo vale, a maggior ragione, quando potere politico e religioso coincidono o si sovrappongono. Come sottolinea il professor Silvano Petrosino, che ha chiamato a raccolta esperti nell’incontro “Religione e Potere. L’opportunità che diviene tentazione”, in occasione dell’ottavo seminario internazionale del ciclo annuale organizzato dall’Archivio “Julien Ries” per l’Antropologia simbolica, di cui è direttore.
«Il potere è spesso visto come ambiguo, malvagio - afferma Petrosino - ma in realtà ha la funzione di un pharmakon. In greco, pharmakon significa sia medicina che veleno: l’ambivalenza etimologica si manifesta a seconda dell’uso che ne facciamo».
Durante l’incontro è stata posta particolare attenzione all’analisi storica del potere religioso, grazie al contributo di Giovanni Codevilla, docente dell’Università degli Studi di Trieste ed esperto di storia delle relazioni tra Stato e Chiesa in Russia. Considerare le manifestazioni politiche della religione è imprescindibile, perché ogni dottrina è strutturata in norme prescrittive: tali norme, però, hanno senso solo se si applicano al servizio dell’uomo e al suo rapporto con Dio.
Il pontificato di Papa Francesco, ad esempio, recupera l’idea cristiana del potere come mezzo per esercitare il servizio. L’esercizio del potere vaticano, dalla nomina di cardinali extra-europei all’opera del magistero, assumono senso soltanto nell’ottica del servizio cui è preposta la Chiesa universale: si tratta di una considerazione fondamentale per evitare di chiudere la Chiesa entro un recinto di valori e ideologie non negoziabili. In questo consiste la linea di Papa Francesco il quale, oggi più che mai, ribadisce l’importanza di “domandarsi circa le strade da percorrere”, come ribadito nel suo discorso ai vescovi di Washington, avvenuto nel settembre 2015.