«Guardare al futuro significa imparare dal passato». Ha esordito così il professor Walter Ricciardi, protagonista del primo webinar della serie “Looking forward”, dal titolo “Covid-19, quali insegnamenti per il Ssn?”, promosso il 19 maggio dall’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica nel Campus di Roma, introdotto dal professor Americo Cicchetti, direttore dell’Altems, e moderato da Nicola Cerbino, capo ufficio stampa dell’Università Cattolica e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs.
«Nella situazione che stiamo tutti vivendo – ha proseguito il professor Ricciardi, professore di Igiene dell’Università Cattolica e consulente del ministro della Salute per il coordinamento con le istituzioni sanitarie internazionali – è ancora presto per dire che siamo fuori dall’emergenza. La lezione che abbiamo imparato finora è che non bisogna assolutamente allentare la guardia, come accadde durante l’epidemia dell’influenza spagnola nel secolo scorso quando la seconda ondata fu peggiore della prima poiché caratterizzata non solo dall’impatto del virus sul corpo delle persone, ma soprattutto sulla psiche. Nessuno di noi può prevedere il futuro, ma studiando e analizzando i dati siamo preoccupati che questa nuova ondata possa esserci. Questo virus si è specializzato per trasmettersi, anche da soggetti asintomatici e da persone clinicamente guarite e si comporta allo stesso modo in tutti i Paesi: è quindi presumibile che anche alcune condizioni ambientali estive potranno inibirne una certa capacità di resistenza e riproduzione, ma non lo elimineranno come stiamo vedendo infatti nei Paesi caldi, ad esempio il Brasile».
«L’ esperienza drammatica che stiamo vivendo – ha aggiunto il professor Cicchetti – avrà un lato positivo solo se analizzeremo la realtà e impareremo le lezioni dal punto di vista sanitario, economico e sociale. È evidente che nel momento in cui accade l’imprevedibile nel quale avremmo potuto creare un contesto più capace di reagire, le nostre Regioni hanno dovuto affrontare qualcosa di totalmente sconosciuto. Negli Instant Report su Covid-19 che l’Altems diffonde ogni settimana abbiamo analizzato le varie risposte delle Regioni italiane, comprendendo che ognuna di esse ha risposto con il proprio modello organizzativo e con le risorse al momento disponibili. Ci siamo chiesti ed è ciò che chiediamo oggi al professor Ricciardi se un piano pandemico nazionale preparato per tempo avrebbe saputo indirizzare la risposta in maniera più uniforme in tutto il Paese».
«Nel nostro Paese – ha risposto Ricciardi - la regionalizzazione non garantisce a tutti i cittadini una risposta adeguata ai bisogni di salute e sicurezza, specialmente quando occorre viaggiare per raggiungere strutture che in una Regione non ci sono. Il Servizio Sanitario Nazionale è arrivato a questa pandemia con alcune Regioni in condizioni quasi disperate nelle quali l’accesso ai servizi non poteva essere garantito ai cittadini: da qui l’esplosione della spesa sanitaria nazionale che ha provocato disomogeneità e grande indebolimento. Il problema reale è che oggi questo assetto sancito dalla Costituzione genera una grande frammentazione sociale che crea disuguaglianze anche “in tempo di pace”, ma che in tempo di pandemia genera frammentazione delle decisioni ed enormi ostacoli alle cure. Lasciare alle Regioni la responsabilità di prendere decisioni dimostra che questa lezione non l’abbiamo ancora imparata e lo capiremo quando il virus si muoverà nelle maglie delle differenze regionali, soprattutto quando sarà maggiore la mobilità. Le Regioni hanno messo in campo gli strumenti a disposizione perseverando nel proprio modello organizzativo, messo alla prova in una condizione estrema. Ma quando c’è un’epidemia la capacità di risposta non è nell’ospedale, ma nel territorio più prossimo al soggetto colpito: è questo l’aspetto vincente. Quando l’approccio territoriale viene seguito precocemente diventa efficace, come ad esempio è accaduto nella Corea del Sud, sulla base delle lezioni imparate dalle esperienze precedenti, attraverso un sistema di diagnostica diffusa. Le Regioni italiani che hanno un modello “ospedalocentrico” erano in Italia quasi delle vittime predestinate».
«Negli ultimi mesi - ha aggiunto il professor Ricciardi - il ministero della Salute ha recuperato una grande quantità di risorse da mettere a disposizione per rafforzare il Servizio Sanitario Nazionale, ammodernare le strutture, aumentare i posti-letto. Ma i nodi vengono sempre al pettine: se, ad esempio, i Pronto Soccorso italiani sono stati in molti casi i luoghi di diffusione del contagio in assenza di flussi differenziati fra pazienti infetti e contagiosi e pazienti non infetti e contagiosi, ciò dovrà al più presto essere corretto - insieme alla promozione dei cosiddetti “Covid Hospital”, completamente dedicati a questa malattia - sicuramente entro la stagione autunnale che vedrà il ritorno dei virus influenzali e delle malattie batteriche. Speriamo che questo avvenga presto poiché il meccanismo attuale ci induce a credere che ciò che succederà sarà un ritorno alla frammentazione e all’eterogeneità».
«Guardare avanti – ha concluso Walter Ricciardi - significa collaborare, soprattutto in una pandemia, a livello internazionale. Pensiamo solo al turismo dal quale dipendono intere parti produttive del nostro Paese: alcune nostre città d’arte oggi sono vuote e lo saranno ancora se non ci uniamo in un grande lavoro a livello mondiale. Ecco il ruolo importante delle organizzazioni internazionali ove i Paesi membri sono spesso i più riluttanti a cedere prerogative nazionali, anche in tempi di emergenza. Questa può essere veramente l’epoca per un nuovo inizio per il nostro Servizio Sanitario Nazionale, purché però vi sia la volontà politica di farlo. Sottolineo ancora che non bisognerebbe mai sprecare una crisi, ma farlo stavolta sarebbe veramente imperdonabile».