La donna sarà la vera risorsa del nuovo millennio. Almeno secondo le relatrici del convegno “Perché io valgo”, promosso in largo Gemelli dal Comitato per le Pari opportunità dell’Ateneo lo scorso 24 gennaio e introdotto dagli interventi della professoressa Cinzia Bearzot, presidente del Comitato, e dal prorettore vicario Antonella Sciarrone Alibrandi.
Una sequenza di sei autorevoli voci femminili che ha scavato a fondo nel delicato tema della diversità di genere e in quello della sua convenienza oggettiva sul lato economico e sociale.
«Risorsa donna è un termine che mi piace molto» dichiara la professoressa Sciarrone. «Se ne parla tanto ma si sa ancora molto poco del gender gap. Dopo la legge del 2011 Golfo-Mosca, sulle quote di genere, le cose sono decisamente migliorate ma la strada è ancora lunga. Per questo trovo giusto parlarne qui in Università: è una questione di formazione culturale innanzitutto. Un fenomeno diffuso per cui si realizza una proporzione rovesciata: sono molte di più le donne che studiano e fanno le ricercatrici ma gli uomini hanno più possibilità di lavorare e ricoprire ruoli di spicco».
Paola Profeta, docente di Scienza delle finanze in Bocconi, ha mostrato chiaramente come nessun Paese ha ancora raggiunto la parità di genere assoluta. Non ne fa solo una questione di diritti però. Secondo diversi studi e ricerche un investimento massiccio per colmare questo gap porterebbe a un aumento del Pil e a una maggiore fecondità e benessere. Ciò dovrebbe avvenire per queste motivazioni: per una maggiore qualità nella produzione e per un più alto numero di performance; diversità intesa come un valore che allarga la prospettiva e le competenze all’interno di un’azienda; per creare una nuova agenda che si preoccupi maggiormente di temi sensibili come il benessere, la sanità e l’istruzione, molto più vicini a una prospettiva femminile.
L’accesso per le donne al mondo del lavoro e a posizioni di rilievo viene ben definito poi da un’idraulica metafora suggerita da Barbara Falcomer, direttrice generale di Valore D. Nel suo intervento ha affrontato la questione della cultura inclusiva soprattutto per la crescita delle aziende e quella del pay gap: le donne guadagnano meno degli uomini fin dall’inizio della loro carriera. La situazione delle donne viene paragonata, infatti, a un tubo che perde: è sempre maggiore il numero di laureate che avrebbe diritto e facoltà di ricoprire da subito una posizione lavorativa, ma le donne assunte sono sempre meno rispetto agli uomini e a mano a mano che si sale nella scala gerarchica le percentuali di occupazione femminile si riducono di molto.
Questa disparità di genere è stata affrontata anche da un punto di vista psicosociale, scavando alle radici di una forma mentis di stampo maschile soprattutto in certi ambiti. Claudia Manzi, docente di Psicologia sociale in Cattolica, ha centrato la sua relazione sulla pericolosità degli stereotipi tra maschi e femmine. Questi preconcetti sono ancora molto marcati, soprattutto in Italia, e spesso sfociano nel sessismo più becero che ha conseguenze pesanti sulle decisioni e sulle performance lavorative femminili.
Anna Maria Fellegara, preside della facoltà di Economia e Giurisprudenza della sede piacentina e con un passato di amministratrice al comune di Piacenza, ha focalizzato il suo intervento sulla sua esperienza personale e su quella di altre donne italiane coraggiose che si sono fatte valere in un mondo propriamente maschile come quello della politica. Un discorso motivazionale ed emotivamente coinvolgente che ha toccato i nervi scoperti di una coscienza collettiva che, se prima vedeva come una debolezza l’intelligenza emotiva delle donne, ora, al contrario, non può prescinderne in ogni azienda, ogni struttura amministrativa, ogni ambiente lavorativo.
La professoressa Bearzot ha tirato le fila di un discorso tanto esteso quanto delicato, ricordando l’urgenza di educare le bambine ma soprattutto i bambini alla parità di genere, in modo da riscrivere la storia e correggere gli errori che in tempi antichissimi hanno poi portato le donne a una perenne condizione di inferiorità.