In uno studio primo nel suo genere, ricercatori dell’Università Cattolica–Policlinico universitario “A. Gemelli” di Roma e del NewYork-Presbyterian/Weill Cornell Medical Center hanno scoperto che la chirurgia bariatrica supera notevolmente i risultati del trattamento medico standard delle forme gravi di diabete di tipo 2. Questi risultati sono stati pubblicati il 26 marzo scorso sul prestigioso New England Journal Medicine (NEJM). Gli autori dello studio, un team italo-americano, riferiscono che la maggior parte dei pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica è stata in grado di interrompere tutti i farmaci per il diabete e mantenere la remissione della malattia per il periodo dello studio, durato due anni, cosa che non ha fatto nessuno dei malati assegnati, nel trial randomizzato, al trattamento medico standard.
«Anche se la chirurgia bariatrica è stata inizialmente concepita unicamente come terapia per la perdita di peso, è ormai chiaro che questo tipo di chirurgia è un ottimo approccio per il trattamento del diabete e delle malattie metaboliche», spiega Francesco Rubino, autore senior dello studio, direttore del Centro di Chirurgia del Diabete presso la Weill Cornell Medical College di New York e ricercatore presso l’Istituto di Clinica chirurgica della Cattolica di Roma. In questo studio, la maggior parte dei pazienti sottoposti a terapia chirurgica ha manifestato miglioramenti nei livelli di zucchero nel sangue, diminuzione del colesterolo totale e dei trigliceridi, e migliorato la concentrazioni di colesterolo Hdl. Questo suggerisce che la chirurgia bariatrica per il trattamento del diabete può inoltre ridurre il rischio cardiovascolare. «La capacità unica di questo intervento chirurgico di migliorare la pressione sanguigna, i livelli di colesterolo e ridurre il peso, lo rende un metodo ideale per i pazienti obesi con diabete di tipo 2», spiega Geltrude Mingrone, autore dello studio, direttore dell’Unità operativa di Patologie dell’obesità del Policlinico Universitario “A. Gemelli” e docente presso l’Istituto di Medicina interna e geriatria della Cattolica di Roma.
Il team ha condotto un trial randomizzato e controllato su pazienti tra i 30 e i 60 anni, tutti trattati al Gemelli di Roma. Gli studiosi hanno stimato la remissione del diabete in 60 pazienti gravemente obesi (quelli con un indice di massa corporea-Bmi superiore a 35) con diabete avanzato. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a tre gruppi: un gruppo ha subito un bypass gastrico (Rygb), un secondo gruppo è stato sottoposto a diversione bilopancreatica (Bpd) e il terzo gruppo è stato trattato con terapia farmacologica convenzionale, personalizzata, e ha modificato il proprio stile di vita. Nessuno dei pazienti nel gruppo sottoposto a terapia medica è andato in remissione dopo l'inizio del trattamento. Al contrario, la remissione del diabete si è verificata e si è mantenuta nel 95% dei pazienti sottoposti a Bpd e nel 75% di quelli trattati con Rygb. Gli autori hanno anche scoperto che età, sesso, indice di massa corporea preoperatoria, durata del diabete e perdita di peso post-operatorio non sono predittivi di remissione del diabete. «Questi risultati confermano che gli effetti della chirurgia bariatrica sul diabete di tipo 2 possono essere attribuiti ai meccanismi dell’intervento, piuttosto che unicamente alla conseguenza della perdita di peso - spiega Mingrone -. Studiare i meccanismi reali attraverso cui la chirurgia migliora il diabete può aiutare a capire meglio la malattia.
Attualmente le linee guida utilizzate dal National Institues of Health Usa limitano il bisturi anti-diabete ai soggetti con un Bmi maggiore di 35 kg. «L’indice di massa corporea è correlato con il rischio di sviluppare il diabete in un individuo, tuttavia, il Bmi non dice molto circa la gravità del diabete, il suo potenziale di causare complicazioni o sui meccanismi della malattia - sostiene Rubino -. Lo studio conferma che l'utilizzo di cut-off di Bmi per definire l'ammissibilità di un intervento chirurgico nei pazienti con diabete è clinicamente inappropriato e vi è la necessità urgente di definire meglio i criteri di selezione dei pazienti».
Il lavoro fa parte di una più ampia collaborazione di ricerca in corso tra l'Università Cattolica di Roma e il Weill Cornell Medical College di New York. Nel marzo 2007 la Cattolica ha ospitato il “Diabetes Surgery Summit” dove un gruppo di importanti studiosi internazionali per primo aveva raccomandato di considerare la chirurgia gastrointestinale per il trattamento del diabete di tipo 2. Nello stesso anno, il Weill Cornell Medical Center ha istituito il Centro di Chirurgia del diabete, "il primo programma accademico del suo genere", organizzando meeting mondiali che hanno contribuito ad accendere i fari dell'attenzione internazionale sul bisturi anti-diabete.
Una soluzione potenziale per un esercito di persone: si stima che l'8,3% della popolazione mondiale soffre di diabete di tipo 2, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, un dato destinato ad aumentare al 9,9% entro il 2030. Ben il 23% dei pazienti con obesità patologica, inoltre, ha anche diabete di tipo 2. Studi precedenti, ricordano i ricercatori, hanno suggerito che la chirurgia bariatrica può essere un approccio utile ai pazienti obesi con diabete. Nonostante i potenziali vantaggi, tuttavia, l'accesso all'intervento chirurgico è ancora molto limitato. Gli autori sperano che il loro studio contribuisca a cambiare le cose e soprattutto la percezione della chirurgia bariatrica nel trattamento del diabete.