Dal 4 maggio il nostro Paese, insieme ad altri in Europa, vivrà una nuova fase dell'emergenza sanitaria, accompagnata da novità anche nella vita economica e sociale. Che vita ci aspetta nel prossimo periodo? Quali sono le ricadute economiche e finanziarie già in atto per imprese e famiglie? E quali le ricette per una buona ripresa? Lo abbiamo chiesto al professor Gilberto Turati, docente di Scienza delle finanze alla facoltà di Economia nel campus di Roma dell'Università Cattolica.
«Il termine chiave è “lockdown”: ci siamo letteralmente chiusi in casa e abbiamo (quasi) spento il motore delle nostre economie, limitando il funzionamento a quelle linee di produzione che il governo ha giudicato “essenziali”» afferma l’economista.
Quali sono le conseguenze? «La chiusura apre due questioni. La prima, perché lo abbiamo fatto (e, prima o poi, lo hanno fatto tutti in giro per il mondo): qui la risposta è perché – se non lo avessimo fatto – il sistema ospedaliero sarebbe stato incapace di offrire risposte adeguate. Non perché ci sono stati i tagli, ma perché i sistemi sono tarati su fabbisogni “normali” mentre la diffusione esponenziale del virus avrebbe portato a un numero di richieste di ospedalizzazione decisamente fuori dalla normalità su un periodo di tempo molto breve. È quello che è successo per certi versi a Bergamo, dove uno dei migliori ospedali che abbiamo in Italia ha letteralmente rischiato di essere travolto».
La seconda conseguenza? «La seconda questione riguarda quali sono gli effetti della chiusura: il segno è scontato, avremo un calo del Pil per il 2020 anticipato dal crollo dei corsi azionari; la dimensione del calo è meno scontata e dipenderà soprattutto da quando e come saremo in grado di ripartire. Certo i numeri che circolano mettono i brividi: quasi certamente il calo della produzione sarà peggiore di quello fatto registrare nel corso della grande crisi finanziaria del 2008».
Che lezione bisogna trarne? «Un insegnamento importante dall’esperienza del “lockdown” dovrebbe essere quello che è difficile spegnere un pezzo di un’economia di mercato per decreto, perché rischiano di spegnersi settori ai quali non si era pensato: le interdipendenze nelle catene del valore richiedono inevitabilmente di andare oltre le classificazioni e i codici dell’Istat. Dovremo tenerne conto nella fase della ripartenza».
Si apre una settimana delicata e di decisioni: il "decreto aprile", le misure anticrisi, il Consiglio europeo di giovedì prossimo, il contenimento del crollo del Pil sapranno risollevare le economie italiana ed europea? «È chiaramente la speranza di tutti: un rimbalzo rapido, a V. L’azione della Bce ha perlomeno evitato per ora che all’emergenza sanitaria si accompagnasse anche un’emergenza finanziaria, limitando gli attacchi speculativi nei confronti dei Paesi più indebitati. Adesso però tocca alla politica fiscale: di nuovo, non c’è nessun dubbio sulla necessità di una manovra espansiva; che in parte c’è già stata, con l’estensione per esempio di schemi di protezione sociale a categorie largamente escluse (penso agli autonomi) o con il tentativo di garantire la liquidità necessaria a famiglie e imprese. Il tema è la dimensione della manovra necessaria per evitare il collasso del sistema economico e la definizione delle misure più efficaci per garantirne la ripresa».
Di che cifre dovremmo parlare? «Al momento, con il decreto “Cura Italia” si sono autorizzate spese per circa 20 miliardi; ma ne serviranno molti di più. Il problema è come finanziare l’ulteriore disavanzo: servirà nuovo debito, non certo nuove tasse in un momento simile; ed è per questo che le decisioni del Consiglio europeo saranno decisive. Serviranno a capire se andremo da soli sul mercato oppure se ci affideremo a soluzioni europee, dai prestiti della Bei all’utilizzo del famoso Mes, fino agli eventuali Eurobond. Personalmente penso che la prima via sia un suicidio economico e politico, che potrebbe avere effetti devastanti sulla tenuta dell’Unione Europea e quindi sul benessere di tutti noi».
Il "dopo-epidemia" sarà diverso anche nei rapporti di forza fra le potenze economiche mondiali: quale può essere il ruolo del nostro Paese in uno scenario di "post globalizzazione", dal punto di vista finanziario, ma anche della competizione commerciale? «Nessuno ha ben chiaro come sarà il mondo post-Covid. Le catene del valore continuano a dispiegarsi tra Paesi e non hanno ancora smesso di farlo: le merci continuano a circolare, anche se si prevede una riduzione degli scambi internazionali fino al 30%. Ricordo per esempio che molti dei test sierologici di cui si parla sono prodotti in Cina. Molto probabilmente, invece, almeno fino alla scoperta di un vaccino, circoleranno meno persone: per esempio, si ridurranno drasticamente i flussi turistici da un Paese all’altro».
Cosa potrà significare per l’Italia? «Quella offerta dal Covid-19 potrebbe essere l’occasione per ripensare la collocazione del nostro Paese nello scenario internazionale, chiedendosi quali sono i settori strategici per il nostro futuro; in questo quadro, la digitalizzazione dell’Italia (infrastrutturale e in termini di capitale umano) parrebbe ormai ineludibile. Dal punto di vista finanziario, invece, ci sarà un grande interesse per capire come un Paese già fortemente indebitato sarà in grado di reagire».
In questi giorni lei, come tutti i docenti del nostro Ateneo, è impegnato in lezioni particolari, non solo perché “a distanza”, ma anche perché esse toccano e trattano i temi del dibattito attuale: quali sono gli interrogativi, gli interessi, i timori e le prospettive proposte e condivise con gli studenti? «C’è un grande interesse da parte di tutti a capire qualcosa di più di quello che sta accadendo e che accadrà; e quando dico tutti mi ci metto anche io. È chiaramente un momento chiave della storia e le decisioni che verranno prese nei prossimi giorni avranno un impatto che si dispiegherà per molti anni a venire. Ne va del futuro del Paese, della nostra capacità almeno di garantire il livello di benessere che abbiamo raggiunto fin qui».