Quando arriviamo in bicicletta, da una strada sterrata e piena di buche, vediamo in lontananza un gruppo di bambini tutti vestiti uguali che aspettano fuori da un cancello. Appena ci notano, iniziano a gridare con aria festosa come se avessero visto arrivare qualcuno a cui volevano bene e che stava tornando da un lungo viaggio, e non tre perfetti sconosciuti.
Ci fermiamo davanti a loro e tutti, al grido di “Tìo! Tìa!!”, ci sommergono di abbracci e ci tirano verso l'ingresso del “Jardim dos Anjos” (Giardino degli Angeli), un asilo che per loro rappresenta un’oasi felice in mezzo ad un mondo di difficoltà. Chi si sarebbe potuto aspettare un’accoglienza così? Nonostante per loro fossimo tre perfetti sconosciuti, ci hanno accolti come se fossimo parte della loro famiglia.
Lo stesso entusiasmo ci viene riservata al pomeriggio dai bambini del Reforço Escolar (rinforzo scolastico): fin da subito provano a insegnarci qualche parola di portoghese. Tutti, nessuno escluso, sono sempre pronti a regalarci un sorriso e anzi, se ci vedono con un’espressione seria, anche solo per un momento, ci chiedono immediatamente “Sei triste?”.
Eppure la realtà in cui vivono toglierebbe il sorriso a chiunque, come tocchiamo con mano durante le visite che tutte le settimane Regina, instancabile direttrice della struttura, e Renata, la sua vice, compiono presso le famiglie dei bambini della Creche (asilo). Case di lamiera senza bagno, luce e acqua corrente, famiglie con quindici figli e senza padre, bambine di undici anni che fanno da madri ai fratellini che hanno a malapena imparato a camminare, madri che non sanno se riusciranno a sfamare i figli il giorno dopo. Questa è la realtà a cui tornano tutte le sere quei bambini che non fanno altro che sorridere tutto il giorno.
William ha tre anni e non parla. È stato accolto dal Jardim in uno stato di denutrizione così avanzato che stava rischiando la vita. Tainà ha undici anni e la prima cosa che fa quando il pomeriggio arriva al Reforço è lavarsi i capelli perché a casa non ha l’acqua per farlo. Samuel, sette anni, a casa viene chiuso in una stanza insieme ai fratelli più piccoli dalla madre, per salvarli dal fratello più grande tossicodipendente, che diventa spesso molto, troppo, aggressivo. Ognuno dei novanta bambini accolti dal Jardim ha storie di questo tipo.
Per loro, persone come Alessandro, uno dei fondatori del Jardim, e Regina sono davvero la salvezza. L’obiettivo dell’associazione non è infatti solo aiutare i bambini e le loro famiglie, ma dimostrare che si può migliorare la propria condizione senza mai perdere la speranza. In una parte del mondo in cui i ragazzi non sanno cosa siano infanzia e adolescenza perché per sopravvivere devono diventare adulti troppo presto, anche solo avere un briciolo di speranza che ci possa essere un futuro migliore fa la differenza.
Prima di partire per il Brasile non sapevamo esattamente cosa aspettarci da questo Charity Program. Ora, dopo tre settimane, che sono volate ma che allo stesso tempo sono sembrate molto più lunghe, visto quanto intense sono state, possiamo dire che quello che fa il Charity è aprire la mente e il cuore. Dopo aver toccato con mano certe situazioni non si può dire di non essere cambiati almeno un po’. Il nostro Charity Program è ormai finito, ma le immagini di quei bambini sempre con il sorriso nonostante tutto e tutti rimarranno sempre nei nostri cuori e, ne siamo convinti, avranno un impatto sul nostro futuro.
* Emanuele Bertotti, 25 anni, di Trento, neolaureato al corso di laurea magistrale in Scienze Linguistiche - Management Internazionale; Ilaria Petrò, 24 anni, di Bergamo, secondo anno del corso di laurea magistrale in Cooperazione internazionale; Alessandra Peverelli, 25 anni, di Milano, neolaureata al corso di laurea magistrale in Cooperazione internazionale, facoltà di Scienze politiche e sociali