Julio Velasco, Mauro Berruto, Davide Mazzanti. Tre personaggi non banali, tre uomini per cui la definizione di semplice “allenatore” è decisamente riduttiva. La nazionale azzurra di pallavolo, sia questa maschile o femminile, negli ultimi decenni è stata guidata da personaggi di uno spessore decisamente elevato, in cui il concetto di “cultura dello sport” trova la sua espressione più completa.
Partiamo ad esempio da Davide Mazzanti. Ospite dell'Ateneo in occasione del talk dell'Open Week dedicato al mondo dello sport l'attuale ct delle ragazze ha spiegato i motivi che lo hanno portato alla scelta di una determinata filosofia di gioco: «Abbiamo puntato molto sull’autonomia, cioè a lasciare spazio alla creatività delle ragazze. Questo modo di giocare la pallavolo ci ha permesso di colmare il gap con le altre nazionali ma ha tirato fuori anche il meglio delle persone, con tutti i vantaggi e gli spigoli annessi, nel senso che abbiamo dovuto anche gestire dei conflitti. La creatività è un elemento fortemente educativo come ci hanno confermato alcune ricerche effettuate con il supporto di neuroscienziati». Non solo tecnica, dunque, ma anche tanta scienza. E l'essere umano al centro.
Ma c'è sempre un prima e un dopo. E in Italia lo spartiacque ha un nome e cognome preciso: Julio Velasco. Prima del suo arrivo la Nazionale di pallavolo italiana era sempre stata pressoché una comparsa. Una combinazione di quelle che sembrano baciate dal destino gli consegnò in dote quella che fu ribattezzata la Generazione di Fenomeni. Un gruppo indimenticabile (Lucchetta, Zorzi, Cantagalli, Giani, Tofoli e Bernardi... una formazione che ha la musicalità simile a quelle rese immortali dal calcio) che sotto la sua guida vinse quasi tutto quello che c'era da vincere. Ma oltre a regalare titoli in serie il tecnico argentino ha rappresentato un punto di svolta nell'interpretazione del ruolo dell'allenatore.
Velasco è stato un maestro, e non solo nella pallavolo. Un riferimento per tutti coloro che sono alla guida di una squadra, non necessariamente sportiva. Il lavoro di Julio Velasco è andato oltre un “semplice” palasport. Il fatto che sia stato chiamato a lavorare anche in società calcistiche di alto livello (Lazio e Inter) e come docente in innumerevoli conferenze la dice lunga sulla qualità dei suoi metodi che oltre all'aspetto tecnico si basavano anche su un approccio psicologico decisamente innovativo non tralasciando aspetti che oggi definiremmo manageriali.
«Gli schiacciatori non parlano dell'alzata, la risolvono». Uno degli interventi più citati di Velasco, è diventato un illuminante e lucido atto d'accusa contro la cultura dell'alibi. «Io voglio attaccanti che schiacciano bene palloni alzati male così quando avranno palloni alzati bene li schiacceranno benissimo. Bisogna trovare soluzioni, non scuse».
«Grazie a Velasco si è innescato un circolo virtuoso, forse irripetibile, che ha generato un effetto che si potrebbe definire win-win-win. E ne hanno trovato giovamento i singoli, la squadra e lo sport italiano intero». La definizione, sulle colonne del Foglio Sportivo, l'ha data un altro grande ex ct della Nazionale di pallavolo, Mauro Berruto. Con lui in panchina la Nazionale ha conquistato il bronzo ai Giochi olimpici di Londra nel 2012: «La tecnologia - spiegò in Cattolica in occasione del convegno “Lo sport oltre lo sport” - è uno strumento in più a disposizione dell’allenatore, e gli permette, attraverso algoritmi matematici di ottimizzare il proprio lavoro».
Uomo di grande cultura Berruto oltre all'aspetto tecnico è un vero narratore dello sport: dal suo seguitissimo profilo Twitter nel periodo di lockdown ha raccontato attraverso brevi video le vicende, gloriose e non, di sportivi di ogni disciplina. E in questi giorni sta "correndo" un immaginario Giro d'Italia. Si è cimentato anche con la letteratura (Andiamo a Vera Cruz con quattro acca, Independiente Sporting, Capolavori) portando i suoi testi anche in tv, confermando che in Italia, chi guida la Nazionale di pallavolo non è mai essere un “semplice” coach. È molto di più.