Ammoniva Renzo De Felice che per interpretare il fascismo bisogna scriverne la storia. Un avvertimento ovvio - si dirà. Si tratta infondo di una regola-principe per ogni storico. L’ammonimento diventa, però, doveroso quando si è chiamati ad affrontare pagine del nostro passato ancor oggi troppo coinvolgenti, perché la ricerca non si risolva nella conferma di un’interpretazione già fissata a priori. È il caso della tragedia degli ebrei italiani, oggetto di indagine della mostra «La persecuzione razziale a Brescia tra memoria e storia», organizzata dall’Archivio storico della Resistenza bresciana e dell’età contemporanea, dalla Biblioteca «Padre Marcolini» dell’Università Cattolica di Brescia e dall’Archivio di Stato di Brescia, che si può visitare fino al 4 febbraio.


 

 


Documenti d’epoca, libri, riviste e filmati offrono al pubblico non solo un’illustrazione delle tappe e dei caratteri della persecuzione antiebraica messa in atto dal fascismo tra il 1938 e il 1945 sul piano nazionale, ma conducono il visitatore a scoprire come le leggi razziali siano state vissute nel Bresciano, istituendo con ciò un proficuo collegamento tra contesto nazionale e la più palpitante realtà locale. Brescia storicamente non ha mai ospitato una comunità ebraica di rilievo. Nel momento in cui scattò l’operazione politica che portò il fascismo a emulare l’alleato nazista nella persecuzione degli ebrei, erano 80 le famiglie censite per un totale di 195 persone. Fatta eccezione per le colonie agricole di «ebrei stranieri» a Puegnago e a Moniga, per il resto si registrano presenze limitate per lo più a una singola persona, distribuite sull’intero territorio provinciale.

L’assenza di un legame comunitario da parte degli ebrei che impedisce loro di disporre, nel momento del bisogno, del sostegno di una rete di solidarietà di gruppo, sommata alla varietà dei comportamenti adottati dalla popolazione nei loro confronti, ha contribuito a far sì che la persecuzione degli ebrei a Brescia non sia stata la storia uniforme di un gruppo, ma la storia di tanti destini individuali, il cui esito è dipeso molto spesso dalle circostanze e dalle relazioni umane in cui ciascuno di essi si è trovato ad affrontare la sua sfida mortale. Fino a quando le misure restrittive della libertà hanno riguardato la scuola, il lavoro o la perdita dei diritti civili, la via di scampo passò attraverso vuoi qualche espediente (come il cambio di nome), vuoi attraverso una domanda i esenzione dalle misure restrittive inflitte dall’autorità di polizia, vuoi attraverso la ricerca disperata di appoggi che servissero almeno ad alleviare i sacrifici e, nei casi più fortunati, a cercarsi la via della salvezza.

La ricerca di un modo con cui imboscarsi o di un appoggio grazie al quale espatriare diventò decisiva quando, con la nascita della Repubblica Sociale Italiana, la repressione si fece totale e inesorabile. Poteva decidere infatti della vita e della morte. All’arresto prima (seguito in genere dal sequestro dei beni) e alla deportazione dopo, l’ebreo

sfuggì solo se riuscì a procurarsi un  aiuto. Questo venne offerto spesso, sempre comunque da singoli, spinti a un gesto eroico di solidarietà, per lo più non sulla base di considerazioni politiche e religiose, ma in nome di un sentimento umanitario che trascese ogni altro pregiudizio e permise loro di affrontare rischi estremi altrimenti

improponibili. Per 22 ebrei bresciani l’impresa di sfuggire all’internamento in un campo di concentramento non riuscì e di questi solo due scamparono allo sterminio. È partendo da quel sentimento elementare di pietà e di solidarietà umana che anche la società bresciana riuscirà poi a trovare le energie per ricostruire la democrazia.

Completa la mostra un filmato che – accompagnando il visitatore lungo tutto il percorso espositivo – racconta un decennio di iniziative messe in campo nel Bresciano in occasione della ricorrenza della «Giornata della Memoria»: sono, infatti, passati dieci anni dall’istituzione di questa data anche per l’Italia, per iniziativa dell’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Il filmato – della durata di trenta minuti, curato da Maria Paola Pasini con la consulenza tecnica e archivistica di Alessandro Colossi, Guido Zubani e Anna Facca, e confezionato con materiale-video di Teletutto - testimoniala sensibile attenzione e il concreto impegno profusi dalle realtà associative bresciane nel ricordare lo sterminio nazista degli ebrei, nonché la liberazione di Auschwitz attraverso modalità differenti («Il treno della memoria», presentazioni di libri, concerti, spettacoli teatrali, ecc.), che nel corso del tempo hanno posto il pubblico bresciano al centro di storie di eroismo, compassione e disperazione, aprendo uno sguardo nuovo sulla macchina dello sterminio.