N. Rockwell, The problem we all live with, il dipinto con cui si apre il libro di Armando SpataroDa un lato la storia professionale e umana di un magistrato che da oltre trent’anni conduce dalla Procura di Milano le indagini sul terrorismo interno e internazionale; dall’altro la storia di un intero Paese, con le sue pagine più buie e gli esempi più alti di impegno civile e istituzionale.

Ne valeva la pena. Storie di terrorismi e mafie, di segreti di Stato e di giustizia offesa, il libro di Armando Spataro pubblicato da Laterza nel 2010, le raccoglie entrambe, cercando di dipanare due trame che il destino ha spesso avvinto strettamente tra loro, fino talora a confonderle in occasione di alcune delle vicende processuali più importanti e tormentate d’Italia, solo ultima quella per la rendition di Abu Omar.

Il volume è stato presentato nel corso dell’incontro La giustizia offesa, che si è tenuto nella Cripta dell’Aula Magna il 17 febbraio per iniziativa del Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale (Csgp). All’evento hanno preso parte – oltre all’autore del libro, il procuratore aggiunto Spataro – i professori Marta BertolinoLuciano Eusebi, Angelo Giarda, Francesco Centonze  e Francesco D'Alessandro, nonché il preside della facoltà di Giurisprudenza e direttore del Csgp Gabrio Forti.

Introducendo l’incontro, il preside ha ricordato le prese di posizione di Spataro sulle riforme della giustizia penale negli ultimi anni al centro del dibattito politico (separazione delle carriere, abbandono dell’obbligatorietà dell’azione penale, “processo breve”, riforma della disciplina delle intercettazioni, etc.), condividendone le valutazioni spesso critiche, ma soprattutto elogiando il metodo per mezzo del quale a tali valutazioni si giunge: un metodo caratterizzato da un’attenzione “ecologica” alle variabili contestuali di tipo culturale e sociale, che – diversamente da quanto spesso accade – sempre dovrebbe sorreggere qualsiasi progetto di riforma giuridica. Ciascuno dei professori presenti ha voluto evidenziare i passaggi più significativi di un libro definito originale anche nel genere letterario, per il suo unire i registri di uno studio storico a quelli del saggio giuridico, dell’analisi di politica criminale e finanche del legal thriller.

Il tavolo dei relatori intervenuti alla presentazione del libro di Armando SpataroLa varietà dei temi emersi dalle diverse letture dei professori rappresenta un’altra cifra distintiva del libro di Spataro: si è infatti discusso del ruolo dello Stato in molte delle vicende legate al terrorismo interno e a quello internazionale, che in numerose occasioni si è realizzato per mezzo di un conflitto tra i diversi organi costituzionali, e si è avuto modo di ricordare le uccisioni di alcuni magistrati, tra cui quelle di Emilio Alessandrini e Guido Galli. Nel susseguirsi degli interventi, si è parlato delle posizioni assunte dagli avvocati negli “anni di piombo” e l’uccisione a Torino dell’avvocato Fulvio Croce; la questione dell’equilibrio tra le garanzie e le libertà individuali, e le esigenze di sicurezza poste dalle minacce della modernità; dell’omogeneità culturale che deve accomunare magistratura e avvocatura nel riferirsi alla scienza accademica; dei mali che affliggono anche da dentro la magistratura; fino a discutere delle “premesse esistenziali” necessarie perché si possa svolgere il mestiere di magistrato, avvocato o professore.

Come emerso anche dal confronto con il pubblico, i temi che la figura di Spataro e il suo libro sollevano sono tanti, e vanno dritto al cuore di quello che siamo stati e di ciò che potremmo essere. La chiave di questa capacità di dar luogo a riflessioni, di avviare un percorso di memoria critica, è forse da ricercarsi nelle parole dello stesso autore, quando ci dice di non aver cercato di raccontare una storia della giustizia italiana, bensì la sua storia della giustizia, così come a lui è stato dato di viverla, riversando nelle parole sentimenti di profonda amarezza ma anche quella “volontà di capire e conoscere con determinatezza” che è l’insegnamento più prezioso di tutti i magistrati che hanno dato la vita per il loro lavoro.