di Michele Damicis *
Non è facile condensare in poche parole le tre settimane di scholarship in India organizzate dal Cesi con il “Work Charity Program”. Nella mia mente scorrono rapide le immagini di persone piene di energia che riempiono con i colori sgargianti delle vesti le misere capanne dei villaggi agricoli. E riecheggiano nelle orecchie le melodie armoniose dei canti corali e i silenzi di preghiera, che fanno da sfondo a una esistenza dedita alla ricerca personale di Dio - in chiesa, nel tempio o nella moschea - insieme ai colpi di clacson delle auto, alle urla della gente sulle strade, che ricordano l’esistenza di una realtà sociale che oltre all’Essere ricerca il benessere.
Pensavo che fare una esperienza di servizio verso persone bisognose mi avrebbe certamente arricchito dal punto di vista umano, mostrandomi come, anche con gesti semplici, sia possibile dare una mano dove c'è bisogno o anche solo regalare un sorriso. E magari anche dare una piccola testimonianza, nella cerchia dei famigliari e degli amici, di come sia tutto sommato "semplice" dedicare gratuitamente un po' del proprio tempo agli altri senza il bisogno di fare chissà cosa.
Il Work Charity Program mi ha offerto, tra l’altro, l’opportunità di partecipare a dei seminari di formazione sulla cultura dei servizi sociali in India: alloggiavamo infatti nel Training Center di Bala Vikasa, una Ong indiana che investe molte risorse in progetti sociali finalizzati a incrementare lo sviluppo umano ed economico del territorio attraverso la promozione dell’imprenditorialità delle persone più a rischio della popolazione. Ero molto curioso di apprendere gli approcci di intervento psicologico nelle organizzazioni di servizi indiane, per confrontarle con quelli di matrice europea ed americana che ho incontrato nel corso dei miei studi alla facoltà di Psicologia dell'Università Cattolica. Ho avuto la possibilità di conoscere uno degli approcci all'intervento organizzativo più utilizzato da consulenti e ricercatori indiani. La possibilità di confrontare diversi punti di vista teorici nello studio di un fenomeno sociale, in un contesto di apprendimento non usuale, è una fonte inesauribile di conoscenze che uno studente può integrare per sviluppare un senso critico personale. Il valore aggiunto rispetto a una esperienza di Erasmus o di studio in un Paese non europeo è la costruzione continua di una sinergia tra il lavoro sul campo (visite alle scuole elementari, partecipazione a meeting di sensibilizzazione sociale, a inaugurazioni di impianti di purificazione idrica, ecc.) e la riflessione sull’esperienza: l’obiettivo è tirar fuori anche da una semplice giornata qualche insegnamento da mettere in pratica quando la vita lo richiede.
Per esempio, la visita alla cooperativa di Mulkanoor mi ha permesso di osservare direttamente un modello di cooperazione per lo sviluppo sociale in una realtà tormentata dalla povertà, dove è facile cadere in preda della disperazione e dell'angoscia di non farcela. Ho visto l'intraprendenza delle persone che vi lavoravano, uomini e donne mossi dal desiderio profondamente umano di costruire qualcosa per sé, per la propria famiglia e per la propria terra, persone che credono in quello che fanno, determinate a fare passi in avanti nello sviluppo. Quanto ci sarebbe da imparare se uno studente insieme alla penna usasse anche le proprie emozioni per annotare istanti della vita, incontri, occhi che cercano uno sguardo amico, sorrisi celati per l'imbarazzo e la vergogna, per poi rileggerli e dare un significato!
Apprendere dalla propria esperienza è anche questo, non solo leggere l'ultima ricerca accademica o partecipare alla conferenza dell’esperto di turno. Essere studenti oggi vuol dire mettersi in un'ottica di ricerca, stimolati dalla passione per l'uomo e la vita, non chiudersi in una stanza a preparare gli esami dimenticando che fuori c'è un mondo che corre.
* 23 anni, pugliese di Manduria (Ta), secondo anno del corso di laurea specialistica in Psicologia delle organizzazioni e del marketing, collegiale del Ludovicianum