di Alessandro Lutzu
«Sentiremo la tua mancanza, non ti dimenticheremo mai…». Jesùs mi saluta così, cercando di celare la sua dolcezza dietro il suo sguardo spigoloso e i lineamenti duri del suo volto. Decidere di partecipare al Work Charity Program, alla sua prima edizione, non è stato difficile. Avendo maturato da tempo l’intenzione di un impegno concreto nel volontariato ed essendo rimasto affascinato dai racconti di chi, come a InterCampus e Fondazione Milan Onlus, lavora nel sociale, ho colto, insieme a Pamela, l’opportunità che l’Istituto Giuseppe Toniolo di Studi Superiori metteva a disposizione degli studenti collegiali dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore: 20 giorni in Honduras, alla Fondazione SanPedrana del Niño, una Ong che si occupa del recupero dei bambini di strada o con gravi problemi familiari.
A Jesùs non rispondo, ma ci guardiamo negli occhi. Poi, solo un semplice gesto con la mano, di quelli che nascondono qualcosa. Credo Jesùs abbia capito cosa. Dopo aver costruito qualcosa assieme, soprattutto se si tratta di amicizia, non mi sentivo di procurare loro altro dolore. Alcuni infatti lasciano cadere qualche lacrima, altri fanno gli indifferenti, i più piccoli continuano a tirare calci a un pallone. Nel breve tragitto che ci riporta in hotel mi sento solo e ripercorro con la mente i 20 giorni in compagnia dei bambini, rivedendo i fantasiosi disegni di Bibian e le corse a piedi scalzi di Eduardo. Giungo alla conclusione che in fondo si tratti di “niños” fortunati. Aver visitato alcune delle loro case mi ha fatto capire perché preferiscono vivere in strada, anche se lo stesso luogo mi ha mostrato dei loro coetanei che hanno scelto la droga e rifiutano di essere aiutati.
Avevo un po’ di paura, lo ammetto, nel cercare di essere rassicurante e amichevole con quei giovani ragazzi davanti a me che non facevano altro che aspirare le esalazioni della colla da bottiglie di plastica tagliate a metà. Ma è stato importante guardare negli occhi la realtà ed è difficile tuttora accettare che le istituzioni locali non facciano abbastanza per salvare vite senza un futuro. Ecco perché i bambini della Fondazione sono fortunati. Giocano, studiano e hanno il tempo per ridere. Il sabato vanno nei supermercati a vendere i dolci abilmente preparati e confezionati durante la settimana, cercando di autofinanziare le attività della Fondazione. Ma non è abbastanza. Ho cercato di sviluppare un progetto, assieme a un loro professore, con l’obiettivo di attirare delle imprese interessate ad impegnarsi nel sociale. Non so se avrà successo, non posso tenere la situazione sottocontrollo, ma la soluzione a molti problemi è questa. Trovare degli sponsor che finanzino un’organizzazione non profit è una condizione indispensabile per la sua sopravvivenza. Altrimenti si rischia di non dare l’opportunità di coltivare dei sogni neppure a chi crede in una vita migliore.
Ho cercato di fare il possibile e credo di aver ricevuto tanto da questa esperienza. A Jesùs bastava poco per essere felice, un piccolo gesto era per lui una grande dimostrazione d’affetto. Con i suoi occhi era capace di vedere delle cose che noi non riusciamo a vedere. È bastato uno sguardo, l’ ultimo che ci siamo scambiati, per dirgli che mi aveva insegnato ad apprezzare la semplicità. Credo lui l’ abbia capito.
* 22 anni, di Orani (Nu), laureato in Scienze della Comunicazione il 1° ottobre 2009, facoltà di Scienze politiche