Sei parole chiave nell’acronimo HOWCARE che dà il nome a un progetto finanziato dalla Commissione strategie di ricerca dell’Università Cattolica: Health emergency On Workers across Countries: Analysis, Responses, Effectiveness.
Come si possono conciliare lavoro e relazioni ai tempi del Covid-19? Dalla fase 1 alla fase 2 della pandemia un’équipe multidisciplinare di ricercatori del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia ha indagato i dati emersi da 446 persone che hanno partecipato allo studio. Tra queste l’82% del campione è composto da donne, il 73,5% sono sposati o conviventi, il 69,7% ha figli e il 58,2% sono lavoratori dipendenti.
La ricerca è ancora in corso e prosegue analizzando la fase della cosiddetta “nuova normalità”.
Un dato emerso chiaramente è che dalla prima alla seconda fase sono diminuiti i contagi ma la situazione nelle famiglie degli intervistati non è migliorata, soprattutto per le donne. Inoltre a luglio 2020 la gestione dei figli è ancora tutta sulle spalle delle risorse familiari (82%).
Rispetto alle misure introdotte dal governo con il decreto Cura Italia la percentuale di utilizzo risulta molto ridotta nel campione degli intervistati. Tra le misure più apprezzate, per chi ne ha usufruito, ci sono i bonus baby-sitter e centri estivi mentre meno soddisfacente risulta essere il congedo parentale.
Il generale il Governo è apparso lontano dalle esigenze delle famiglie, soprattutto dove ci sono figli minorenni. Per il 71,3% di questi genitori le decisioni assunte dal Governo hanno tenuto poco (o per nulla) conto delle differenti esigenze delle famiglie, predisponendo sostegni adatti alle diverse situazioni, e il 68,7% ritiene che le decisioni assunte dal Governo non abbiano aiutato le famiglie a trovare un equilibrio.
Dopo la prima fase di emergenza in fase 2, e nonostante la ripresa delle attività, la gestione organizzativa delle famiglie con figli minori e/o con caregiver è stata problematica e si è sommata alla minaccia per la propria salute e all’incertezza economica.
Di fronte a questo panorama così poco confortante la vera differenza possono farla le aziende. Infatti le iniziative di welfare aziendale attivate rappresentano un sostegno molto importante se profilate in maniera attenta sui reali bisogni dei lavoratori e delle loro famiglie. I lavoratori le cui aziende hanno attivato iniziative di supporto psicologico, al reddito, coperture assicurative, iniziative per sostenere la genitorialità e i caregiver hanno riportato livelli più elevati di performance e soddisfazione lavorativa, identificazione con l’azienda e minori livelli di stress. «Diverse aziende realizzano già iniziative di welfare per la conciliazione, ad esempio insegnanti che supportino i figli dei dipendenti online, call center per chi ha familiari non autosufficienti utili a usufruire di sgravi fiscali, a trovare infermieri e badanti» - ha dichiarato Claudia Manzi, coordinatrice del progetto di ricerca.
«Una soluzione praticabile ed efficace dal punto di vista istituzionale - ha precisato la docente - potrebbe essere quella del governo di sostenere le organizzazioni lavorative nell’erogazione di iniziative di welfare aziendale attraverso ad esempio l’introduzione di ulteriori sgravi fiscali».
Un affondo interessante dello studio riguarda poi la modalità di lavoro che nel 51% dei casi è stata scelta di comune accordo con l’azienda, nel 33% dei casi è stata imposta e va incontro alle esigenze degli intervistati, mentre al 16% è stata imposta e non tiene conto dei bisogni della controparte.
In Italia in questi mesi si è passati dall’8% a oltre il 40% di utilizzo del lavoro flessibile da casa, impropriamente detto smart working. E questa è una modalità accolta positivamente dalla maggioranza degli intervistati: più di 1 lavoratore su 2 si dice molto o del tutto contento di lavorare da casa, una soluzione win-win, percepita come vantaggiosa per entrambe le parti, lavoratori e aziende. Il vantaggio però è soprattutto sentito da chi ha figli maggiorenni o non ha figli e solo da coloro che, avendo un buon supporto da parte del partner, possono fare meno fatica a gestire i carichi familiari o lo stress lavorativo.
In generale, al di là degli stereotipi, i vantaggi del lavoro da casa ci sono. Il 79,2% degli intervistati sostiene di avere un risparmio di tempo e costi di viaggio, il 64,5% si sente sicuro rispetto alla possibilità di contagio, il 59,9% riesce a gestire meglio gli impegni della sua vita privata, il 47,5% organizza meglio il suo tempo di lavoro.
Non mancano però gli svantaggi. È interessante scoprire che, contrariamente alle aspettative date da uno sguardo superficiale, i genitori con figli minorenni sono quelli che più soffrono la mancanza dei colleghi, l’aumento del lavoro tra le mura di casa e l’assenza di spazi liberi personali. In particolare al 54,2% degli intervistati (il 62,1% sono genitori di minorenni) manca il contatto con le persone in presenza sul lavoro, il 53,4% ha la sensazione di non avere momenti di pausa dal lavoro, il 51,4% sta collegato a lungo al pc e si stanca molto, il 51% (di cui il 59,3% sono genitori di minorenni) lavora al di fuori del suo orario di lavoro e quindi molto più del solito, il 37,5% (di cui il 44,9% sono genitori di minorenni) si sente isolato, il 33,5% (di cui il 46,3% sono genitori di minorenni) non riesce ad avere più momenti solo per sé.
Infine la ricerca evidenzia che la modalità del lavoro da casa migliora la performance lavorativa solo degli “smart workers esperti” e senza figli.
«I lavoratori vanno profilati bene mappando i loro bisogni e individuando soluzioni che possano sostenerli - ha specificato la professoressa -. Occorre considerare le differenze tra chi usava già il lavoro da casa ed era alfabetizzato digitalmente prima del lockdown e chi ha dovuto improvvisare competenze e abilità nuove e ha ancora necessità di un training».
La ricerca HOWCARE, in sintesi, suggerisce quanto indicato dallo stesso acronimo, ovvero le modalità con cui prendersi cura delle persone che sono ad un tempo individui, partner, figli, lavoratori. Il progressivo adattamento a nuove modalità di lavoro può essere positivo ma al momento non rappresenta una soluzione in termini di conciliazione tra famiglia e lavoro per chi ha carichi di cura più importanti. Devono entrare in campo istituzioni e organizzazioni per proporre soluzioni più idonee per tutti e in particolare per i lavoratori con figli minori di fronte a una scuola con un funzionamento intermittente e attività extrascolastiche nuovamente ferme.