Oltre la metà degli italiani (58%) dichiara di aver creduto almeno qualche volta nell’ultimo anno a una notizia relativa al mondo agro-alimentare che poi si è rivelata falsa, e di questi addirittura più di un terzo (37%) ha anche condiviso la notizia falsa sui social, contribuendo quindi all’inarrestabile diffusione delle “bufale alimentari”.
Questi i primi risultati dello studio condotto dal Centro di ricerca dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Cremona “Engage Minds Hub”, nell’ambito del progetto CRAFT, che è stata presentata in occasione del convegno “Food engagement: comprendere i comportamenti di consumo alimentare nell’era della partecipazione e delle fake news” mercoledì 15 gennaio, nella sede cremonese della Cattolica.
Dalla ricerca, condotta dalla professoressa Guendalina Graffigna, direttore del Centro di ricerca Engage Minds Hub -, emerge che le fake news davvero non risparmiano nessuna classe sociale, e in media sono le persone con almeno un diploma e una fascia economica media a essere più spesso preda delle fake news in ambito alimentare.
Indipendentemente dal livello di istruzione a credere maggiormente alle fake news sul cibo sono tre categorie di individui:
- i “distratti” che rappresentano il 42% di coloro che credono alle fake news: sono poco attenti alle loro scelte alimentari, hanno uno stile di vita poco sano ma sembrano non problematizzarlo e non dichiarano intenzione di migliorarlo. Tendono a provare le nuove mode alimentari ma più per esperimento che per un vero piano di innovazione. Non hanno un regime alimentare coerente e razionale;
- i “disorientati” (equivalenti a un 33% di coloro che credono alle fake news): sono molto proattivi nella ricerca di informazioni in campo alimentare perché si dichiarano preoccupati per la loro salute e alla ricerca di indicazioni autorevoli, ma spesso si lasciano influenzare dall’opinione altrui, soprattutto di amici e parenti. Sono aperti alle novità del mercato alimentare, ma non sono soddisfatti del loro regime alimentare e del loro stile di vita e dichiarano di essere fortemente intenzionati a cambiarlo nei prossimi sei mesi;
- i “narcisi” (equivalgono al 25% di coloro che credono alle fake news) che ricercano abbastanza spesso informazioni riguardanti l’alimentazione al fine di mantenere uno stile di vita sano. Sono individui soddisfatti del loro stile alimentare generalmente più tradizionali nelle loro scelte di consumo alimentare. Non problematizzano le loro convinzioni in ambito di salute e di alimentazione e per questo appaiono meno critici verso le fonti di informazione e talvolta “integralisti” nelle loro scelte alimentari, spesso basate su argomentazioni valoriali e politiche.
«La diffusione delle fake news alimentari ha un impatto importante non solo sulle tasche degli italiani ma anche sulla loro salute» sostiene la professoressa Graffigna. «I consumatori che sono più spesso preda delle fake news, infatti, tendono a fare acquisti alimentari diversi rispetto agli altri e risultano maggiormente preda delle mode. In particolare i cibi “senza” o “con aggiunta di” tendono a essere preferiti e considerati più salutari (indipendentemente dalle effettive proprietà nutrizionali) da chi è maggiormente soggetto al potere persuasivo delle fake news».
«L’area delle fake news in ambito alimentare richiede crescente attenzione e studio da parte degli addetti ai lavori – conclude l’esperta - soprattutto nell’ottica di creare “intelligence” sui processi di scelta dei consumatori capace di sostenere nuove forme e occasione di sensibilizzazione, educazione e coinvolgimento (engagement) del consumatore».