“Più cresce l’informazione, più sembra diminuire la conoscenza, e il vuoto di pensiero sempre più si riempie di hate speech, bufale, fake news. Inoltre, le emozioni sembrano contare più dei fatti. Ma separare le opinioni personali dai fatti obiettivi è compito difficile se non impossibile. Anche la questione della democrazia nell’era tecnocratica è oggi in gioco. La crescita dei populismi e del cosiddetto consenso post-politico pone grandi sfide, così come la polarizzazione del dibattito che spinge le persone agli estremi, dato che provocare è un modo di massimizzare il coinvolgimento”.
Così si legge nella presentazione dell’ultimo numero della rivista “Comunicazioni Sociali” intitolato The Remaking of Truth in the Digital Age (a cura di Chiara Giaccardi e Nathan Jurgenson), che introduce una prospettiva critica in questa ondata di forze contro-informative, perché “la responsabilità dei soggetti, piuttosto che l’obiettività dei fatti, è oggi in gioco […] perciò, con le parole di de Certeau, ‘essere segno di ciò che manca’ e voce di chi non ha voce è una priorità nell’era digitale dell’accessibilità globalizzata”.
Del fascicolo, disponibile gratuitamente sul sito della rivista, pubblichiamo alcuni stralci dell’intervento del professor Silvano Petrosino. Un tema, quello delle fake news autorevolemente rilanciato da Papa Francesco nel messaggio per la cinquantaduesima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
— Papa Francesco (@Pontifex_it) 24 gennaio 2018
È TUTTA SCENA. LE MOLTE VERITÀ DELL’ERA DIGITALE
di Silvano Petrosino *
Ci sono dei formidabili paragrafi che Heidegger dedica in Sein und Zeit (1927) ai fenomeni della chiacchiera, della curiosità e dell’equivoco. Sono pagine sorprendenti la cui attualità ‒ soprattutto se si pensa alla logica e alla pratica che regolano il ‘mondo della rete’ ‒ non cessa di stupire e la cui fecondità si dimostra inesauribile. Ad esempio il filosofo tedesco precisa che il diffondersi e ripetersi della chiacchiera ha il potere di trasformare il non sapere in sapere: un non sapere continuamente presentato, ripetuto e diffuso come se fosse un sapere alla fine viene percepito e soprattutto utilizzato come se fosse un sapere.
La tecnologia digitale ha globalizzato la chiacchiera rendendo manifesto quel primato del significante sul significato che si realizza in un discorrere che non comunica altro che la diffusione e la ripetizione del discorrere stesso: “Più che di comprendere l’ente di cui si discorre, ci si preoccupa di ascoltare ciò che il discorso dice come tale. [...] Ciò che conta è che si discorra”. Rispetto all’essenziale e alla complessità di cui la chiacchiera è un sintomo, […] il dibattito attorno alla post-truth e alle fake news si impone per la sua limpida vacuità: vecchie questioni, teoria di banalità, temi da tempo studiati, poca serietà nell’affrontarli, nessun rigore nell’esaminarli.
L’impressione è che ancora una volta sia tutta scena, che in questo discorrere il tema della verità non sia altro che un pretesto o un significante, uno dei grandi significanti che rivelano, per l’appunto, l’insistente bisogno di occupare comunque e ad ogni costo il centro della scena; in verità cosa c’è di meglio della ‘verità’ per continuare freneticamente a discorrere, visto che “ciò che conta è che si discorra”? La tradizione religiosa e filosofica lo ha sempre saputo: a questo tema, quello della verità, non ci si può neppure avvicinare se prima, con la massima serietà e sincerità, non ci si confronta con la drammatica questione relativa non tanto al suo sapere (è la domanda di Pilato a cui Gesù non risponde: ‘Che cos’è la verità?’) quanto piuttosto e ancor prima al suo interesse: la verità interessa veramente a qualcuno? Quando si parla e discute della verità è proprio della verità che si parla, è proprio alla verità che ci si interessa?
In effetti la ‘verità’ è sempre ‘qualcosa’ che eccede il sapere, ‘qualcosa’ che non si riesce a rinchiudere all’interno del sapere, ‘qualcosa’ che, per l’appunto, non è mai una ‘cosa’ visto che rinvia ad un ordine in cui prima o poi ci si trova sempre personalmente coinvolti e rispetto al quale non si riesce mai a restare indifferenti. Scrive Nietzsche: “È molto importante che rifletta sulla morale il minor numero di uomini possibile ‒ ha quindi grande peso il fatto che la morale non diventi un bel giorno interessante”; lo stesso vale per la ‘verità’, e infatti i due termini, ma ancora più a fondo le questioni ch’essi cercano di nominare, non sono mai separabili, non possono mai essere separati: la verità è la questione morale.
È proprio per questa ragione, per evitare il dramma e le complicazioni di questa coappartenenza essenziale, che forse conviene lasciar perdere sia la ‘verità’ che la ‘morale’, occupandosi piuttosto della post-truth e della deontologia relativa alle fake news. In fondo, ci suggerisce Lacan, al reale si finisce per abituarsi, mentre la verità conviene rimuoverla.
* il brano è tratto, con qualche modifica, dall’articolo pubblicato sulla rivista Comunicazioni Sociali (3/2017)