di Annalisa Salerno *

Ho sempre pensato che con l’immaginazione potessimo compiere viaggi fantastici, raggiungere posti impensabili, provare intense emozioni. Eppure la realtà talvolta sorprende e dona qualcosa che ha le sembianze di un sogno ma la tangibilità e la “drammaticità” della vita concreta.

I tre mesi trascorsi a Cardiff sono stati l’emblema di ciò. Archiviate le normali apprensioni iniziali, fin da subito mi sono sentita accolta sia dai colleghi inglesi, sia dagli altri ragazzi Erasmus che ho incontrato i primi giorni e con cui è nato un bellissimo rapporto. Sono diventati, infatti, la mia famiglia e insieme abbiamo condiviso tantissimi momenti indimenticabili, dal semplice e veloce pranzo in ospedale, alle gite in giro per la Gran Bretagna.

Durante l’esperienza all’University Hospital of Wales ho seguito il blocco “Women, Children and Family” (comprendente pediatria e ginecologia), geriatria e nell’ultimo periodo ho avuto modo di frequentare i reparti di medicina interna e chirurgia.

L’organizzazione dell’attività didattica differisce da quella italiana sotto molti punti di vista. Dopo una settimana introduttiva di lezioni molto interattive e spesso incentrate sui casi clinici, mi sono ritrovata a dover andare ogni giorno in reparto con i miei compiti e le mie responsabilità.

I medici interagivano con me, mi coinvolgevano nei loro discorsi, nelle loro decisioni e si aspettavano che collaborassi con loro proprio come qualsiasi altro medico. Inizialmente questo atteggiamento mi ha spaventata perché non ero abituata ad avere un ruolo così attivo all’interno di un reparto, mi sembrava quasi “surreale” che chiedessero a me di andare a visitare i pazienti, scrivere in cartella e riferire loro quanto appreso nel colloquio. In realtà quel senso di smarrimento iniziale è stato il punto di partenza per un percorso e un arricchimento personale che ha lasciato un segno nella mia formazione.

Ho trascorso il primo mese nell’ospedale pediatrico e, grazie alla dedizione dei medici e di tutto il personale sanitario che mi hanno seguita giorno dopo giorno, ho iniziato ad acquisire sempre più sicurezza e autonomia nell’ambito diagnostico-terapeutico, ma soprattutto ho avuto modo di sviluppare le cosiddette “communication skills”.

Ciò che mi ha sorpreso fin da subito, infatti, è stata l’attenzione degli operatori sanitari per il malato nella sua interezza, attenzione che cercano costantemente di insegnare agli studenti dedicando anche lezioni apposite in cui vengono inscenati casi clinici e lo studente deve interagire con degli attori.

In taluni contesti una parola piuttosto che un’altra può risuonare come una minaccia o una condanna, in altri può essere veicolo di speranza e conforto; così come una carezza data a un bambino a volte basta a farlo sorridere. Ho imparato, dunque, che è davvero importante comunicare col paziente, ascoltarlo e condividere con lui anche parte di sé in modo tale che egli si senta protagonista del percorso di cura.

Durante il tirocinio a ginecologia, svoltosi il mese seguente, sono rimasta piacevolmente colpita dall’organizzazione capillare dei servizi forniti alla donna, in particolare dall’ambulatorio dedicato alla visita delle gravide con problemi mentali e dalle cliniche che accolgono e ascoltano donne vittime di abusi e violenze.

Non è stato facile lasciare questa realtà e ritornare in Italia. Ancora oggi affiorano ricordi avvolti da un sentimento di nostalgia, nostalgia che nasconde la consapevolezza di una grande fortuna che ho ricevuto.

* 25 anni, di Lugo (Ra), corso di laurea di Medicina, facoltà di Medicina e Chirurgia, campus di Roma