Nato in Germania nel 1888 (a Schopfheim, Baden), da genitori ebrei svizzeri, Max Picard è stato un pensatore di rara originalità, un intellettuale irregolare, rimasto per scelta sempre al di fuori dell'accademia. Studiò medicina a Friburgo in Brisgovia, Berlino, Monaco e Heidelberg. Fino al 1918 fu medico a Monaco. Da sempre interessato alla filosofia, decise di chiudere con la medicina e di trasferirsi in Ticino per vivere come libero scrittore, a contatto con la natura, prendendosi cura della moglie malata. 

Pubblicato nel 1934, in piena epoca nazista (e ripubblicato da poco da Vita e Pensiero), La fuga davanti a Dio descrive con toni quasi apocalittici tutti i pericoli della società tecnocratica e la sua implicita tendenza verso la dittatura. «Non è più necessario un atto particolare per fuggire davanti a Dio, non c’è più nessuna pausa nella condizione di fuga, nessun alternarsi tra il fuggire e il non fuggire; la fuga è così continua, così naturale come l’aria, così naturale da dar l’impressione che nulla sia mai esistito all’infuori di essa: in principio era la fuga». Eppure, anche in questo fuggire continuo, in questo continuo rincorrere la possibilità non ancora esplorata, rimane un luogo in cui ancora è possibile la contemplazione, un luogo in cui 'stare'. «L’amore» scrive Picard «è ciò che generalmente trattiene l’uomo dal mettersi in moto per la fuga. Un uomo che ama un’altra creatura o una cosa, rimira accuratamente e a lungo l’oggetto amato, osserva attentamente se c’è qualche punto che egli ancora non abbia amato: l’amore è paziente, aspetta finché l’essere amato si approfondisca nell’amore, – tutto ciò richiede troppo tempo in quella fuga in cui l’uomo vuoi essere sempre in moto. E quindi il mondo viene sistematicamente privato d’amore».

Hermann Hesse in una recensione coeva dell’opera, interamente riportata nel volume, ne ha scritto: «è un libro da veggente, la sua immagine di una fuga davanti a Dio non è metafora ma visione, è un'opera tremenda e al tempo stesso consolante». «L'autore» scrive ancora Hesse «legge i lineamenti del mondo della fuga nel volto dell’epoca, un mondo in cui è stata cancellata l’impronta delle idee e quindi privo di immagine (bildlos), ma dimentico anche del silenzio come pure della parola, entrambi stritolati fino all’annientamento dal brusio verbale. Un mondo dunque, senza profondità e che difetta di presenza, di interezza, durata e amore».

Prefazione di Jean-Luc Egger