di Gianni Sibilla *
Ci risiamo. Sta per arrivare il Festival di Sanremo. È impossibile, o quasi, sfuggire, al più grande evento musical-televisivo italiano. A meno che non si rimanga disconnessi da tutto, dal 7 febbraio in poi, difficile non imbattersi in un post, un programma Tv o radiofonico, una pagina di giornale, che parli del Festival. O semplicemente qualcuno che ti dice: “Hai visto ieri sera? Cosa ne pensi?”.
Ecco una piccola guida su cosa succederà in riviera e sui media, per attrezzarsi alla visione, alla discussione o anche solo per programmare le proprie mosse per evitarlo.
Cosa tenere d’occhio: lo spettacolo
Teoricamente, è “Il festival della canzone italiana”. Di fatto è un mega contenitore con siparietti, ospiti e superospiti. E poi le canzoni. Ogni anno sentiamo ripetere dai conduttori che lo spettacolo è solo la cornice. Ma mentono sapendo di mentire: il Festival di Sanremo è ormai da tempo un programma Tv fatto con la musica. L’ordine di importanza delle componenti è esattamente questo.
Quest’anno non farà eccezione: la discussione e le polemiche sul Festival partiranno da lì, non dalle canzoni in gara, che sono tutto sommato innocue. Anche sul versante strettamente musicale, i grandi nomi sono tra gli ospiti: italiani troppo importanti per andare in gara (Tiziano Ferro, che duetterà con Carmen Consoli, o Zucchero) o stranieri (Mika, Robbie Williams).
Cosa evitare: le canzoni (quasi tutte)
Il Festival della canzone italiana, si diceva. Di quella tradizionale, classica, basata quasi sempre sulla stessa struttura: piano-orchestra-ritornello “urlato”, e sul tema sentimentale.
Conti è un iper-tradizionalista, usa metafore come “macedonia”, “mosaico” e quest’anno “mazzo di fiori” per raccontare una supposta diversità nelle sue scelte musicali. Ma se gli anni scorsi era andato sul sicuro, quest’anno ha scelto canzoni ancora più “normali”, con poche eccezioni. Non ci sono gruppi in gara, qualche piccola concessione al rap, nessuna concessione al rock.
La stampa ha già ascoltato le canzoni (ne ho scritto su Rockol) e poche esulano da quel modello. Al primo ascolto mi hanno colpito la classe di Fiorella Mannoia, il pop contemporaneo di Samuel dei Subsonica, il divertimento alla Battiato di Francesco Gabbani e poco altro. Ma le canzoni vanno ascoltate durante il Festival: vengono trasformate dalla spettacolarizzazione della Tv, dall’emozione per i cantanti di trovarsi sul palco dell’Ariston e dalla presenza dell’orchestra.
Chi vince quest’anno?
La domanda delle domande. L’anno scorso, a sorpresa, hanno vinto gli Stadio. Quest’anno Fiorella Mannoia metterebbe di nuovo d’accordo tutti, per la sua storia e per la canzone. Oppure un outsider (apparente) come Masini, che si presenta in versione modernizzata e potrebbe dare una altrettanto apparente impressione di contemporaneità.
Ma alla fine, conta davvero chi vince Sanremo? No, non conta. Dati alla mano, vincere a Sanremo non fa vendere più musica, e neanche partecipare. Tanto che ormai molti cantanti in gara hanno preso l’abitudine di pubblicare i loro album due o tre settimane dopo la fine della kermesse.
Il Festival, però, rimane per l’industria della musica una vetrina importante con effetti più immateriali: un buon passaggio può cambiare la percezione di un artista, il suo posizionamento, lanciare la carriera o rilanciarla, permettergli il salto verso un pubblico più ampio. Non capita sempre, e ovviamente non capita a tutti: ma finché il panorama dei media italiani non si doterà di un altro spazio così pervasivo e mainstream per far ascoltare nuove canzoni, il Festival di Sanremo rimarrà centrale, nel bene e nel male.
Per chi si lamenta: mai come oggi ci sono tanti altri spazi per scegliersi la musica. Ogni singolo servizio di streaming ha decine di milioni di brani in catalogo. Ascoltatore avvisato, mezzo salvato.
* Direttore didattico del Master in Comunicazione musicale dell’Università Cattolica e giornalista musicale di Rockol.it