Sanremo 2017. Il carosello della memoria, il bianco e nero si illumina di colori HD, prezioso archivio delle belle canzoni non prime, ma vincenti, un ponte con il passato che arriva fino a qui: gustosa sintesi del sentire pop italiano.
Si apre il libro del festival numero 67. Un racconto iper-contemporaneo, ritmo incalzante, via i cantanti, uno dopo l’altro, ospiti, presentazioni, letture del gobbo elettronico dichiarate e qualche sguardo dietro le quinte, ormai si può far vedere anche il cantiere. Come sarebbe bello trasmettere qualche flash delle prove, magari su un canale digitale.
C’è tutto. Tutti cantano Sanremo. Campioni dello sport, i soccorritori delle nevi abruzzesi, le associazioni contro il bullismo. La giornalista in rosso. Dalla Sala Stampa Lucio Dalla, da dove grazie a Cattolicanews sto seguendo il festival, il calibrato e perfetto spettacolo, sembra un po’ freddo. Applausi per Albano, Moro, Mannoia.
Di questo è fatto il terzo Festival di Carlo Conti: una perfetta macchina da televisione, una specie di scansione impiegatizia, tirata, veloce, a tratti una serialità che annoia. Se anche i cantanti fossero un po’ più sciolti, si lasciassero sorridere o si muovessero un po’ lo spettacolo ne gioverebbe.
Quando funziona di più questo spettacolo? Nell’irrompere dell’emozione, quando Tiziano Ferro ricorda Luigi Tenco. O quando il Teatro Ariston comincia a ballare con l’esibizione di Ricky Martin.
Maurizio Crozza è rimasto a Milano, ha paura dopo quella volta: una sera del 2013 fece una apparizione imitando Berlusconi, Bersani. Fischi. Aldo Grasso sul Corriere commentò: “Crozza contestato dal pubblico, un accenno di rissa, è fondamentalmente un attore, non un improvvisatore. Se gli togli il copione, o lo interrompi inaspettatamente, non sa più come girarsi”. Anche la regia di Maurizio Pagnussat è un po’ ingessata e poco abituata al qui e ora del teatro: “Maria” gioca con i giganti dello sport, si nasconde dietro la pallavolista, la telecamera stringe stretto sul primo piano: peccato abbiamo perso un’occasione di fare show.
Per chi vive di cultura e di eventi culturali Sanremo è un caleidoscopio di meraviglie, una macchina che la Rai riesce a tenere costantemente agile, veloce, nonostante un impegno enorme di persone, sei studi televisivi oltre all’Ariston, 40 giorni di lavoro per allestire, turni infiniti. Poi artisti, operatori, 110 fotografi ufficiali: 240 le testate giornalistiche, 47 tv straniere, inviati da Lussemburgo, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Svizzera; radio estere con 49 inviati. In tutto oltre 1.300 professionisti dei media. Sorpresa: un settimanale cinese “Nouvelle d’Europe”.
Muoversi a Sanremo diventa complicato, si passa al metal detector da 10 punti di accesso, un enorme apparato di sicurezza: 274 telecamere di sorveglianza, non dentro il teatro, ma che garantiscono la sicurezza di chi vive in città. Un “esacottero”, un drone veglia sul centro cittadino e uomini camera girano nei dintorni del teatro, un esercito di occhi attentissimi a proteggere e sorvegliare la situazione. Sono del resto 200 gli eventi collaterali in città.
E sullo sfondo la Liguria, una città di mare chiusa tra le montagne, ristoranti e alberghi pieni, un volteggiare di leggerezza, l’Italia sembra lontana, con la sua politica i suoi problemi, almeno per qualche giorno dimentichiamoci della realtà e lasciamoci travolgere da uno spirito comunque festoso e carnevalesco.