“Lasciarsi aiutare sta a un livello spirituale molto più alto del semplice aiutare”: questa la frase della dottoressa Africa Sendino, tratta dal libro di Pablo d’Ors “Sendino muore”, che ha ispirato il secondo incontro annuale promosso dal Centro Pastorale della sede di Roma dell’Università Cattolica, dal titolo "Curare e lasciarsi curare", rivolto ai medici in formazione specialistica della Facoltà di Medicina e chirurgia e aperto a tutta la comunità universitaria e ospedaliera, che si è svolto il 15 maggio presso l’Aula Brasca del Policlinico Gemelli.
L’incontro è stato aperto da SE Monsignor Claudio Giuliodori, Assistente Ecclesiastico Generale dell’Ateneo, dal professor Rocco Bellantone, Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia, e dal professor Marco Elefanti, Direttore Amministrativo dell’Università Cattolica e Direttore Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, e moderato dai professori Alfredo Pontecorvi, docente di Endocrinologia, e Vincenzo Valentini, docente di Radioterapia dell’Università Cattolica.
Prima della presentazione delle testimonianze è stata recitata una preghiera composta per l’occasione da Don Francesco Dell’Orco, Assistente Pastorale della sede di Roma, che ha anche contribuito all’organizzazione dell’incontro.
Molte, profonde e significative le riflessioni degli Specializzandi che hanno condiviso storie ed esperienze quotidiane di vita e di assistenza nei reparti, di vicinanza reciproca con i pazienti, di formazione non solo scientifica e clinica, ma anche umana e spirituale.
“Sono io a dover essere grata ai pazienti per le esperienze che mi hanno offerto”, “Ci ha insegnato a vivere proprio mentre stava morendo”, “E’ stata lì a consolare me”: queste le frasi più toccanti di alcune delle riflessioni offerte dai giovani medici.
“Ascoltando queste testimonianze – ha detto Monsignor Giuliodori concludendo l’incontro – abbiamo condiviso due ore di formazione profonda e necessaria per tutti noi. Per essere medici occorre essere veri professionisti, ma anche capaci di vera e autentica umanità. Si tratta dell’incontro di due persone, medico e malato, che reciprocamente stabiliscono un rapporto di cura. Queste testimonianze ci hanno dimostrato che nei momenti culminanti della vita, di grave malattia e anche di morte, non finisce tutto, ma si ha l’opportunità di comprendere i significati più profondi dell’esistenza”.