I robot potrebbero diventare veri e propri partner sociali competenti per i bambini. È quanto emerge da uno studio condotto su 32 bambini di diciassette mesi, nato dalla collaborazione tra l’Unità di Ricerca sulla Teoria della Mente all’interno del dipartimento di Psicologia dell’Università Cattolica, l’Università di Kyoto, l’Università Doshisha e l’Università di Osaka. Per la ricerca, alla quale hanno partecipato per l'Italia i ricercatori della Cattolica Antonella Marchetti, Davide Massaro, Cinzia Di Dio e Federico Manzi, è stato usato un robot umanoide del laboratorio giapponese guidato dal professor Hiroshi Ishiguro.
Secondo la massima di Henri Bergson “L'occhio vede solo ciò che la mente è preparata a comprendere”, gli occhi non servono solo per vedere ciò che ci circonda: lo sguardo riflette il mondo interiore dell’individuo ed è fondamentale per le relazioni sociali, in particolare per la specie umana.
L'abilità di comprendere dallo sguardo cosa un altro essere umano intenda fare non è innata, al contrario essa si sviluppa nel corso dei primi mesi di vita, anche attraverso l’esposizione ripetuta del bambino alle interazioni sociali.
La psicologia dello sviluppo ha studiato approfonditamente quando e come emerga la capacità di interpretare lo sguardo dell’altro. Si tratta di uno dei primi segnali di comprensione della socialità, segnali che porteranno progressivamente il bambino a far parte della cultura umana.
Negli ultimi anni è cresciuto esponenzialmente l’interesse nei confronti dei robot e, in particolare, circa la possibilità che i bambini possano interagire efficacemente con essi. Le ricerche sinora condotte hanno consentito di scoprire che quando gli oggetti presentano delle caratteristiche simili a quelle dell'essere umano - come nel caso dei robot antropomorfi - i bambini si rapportano a essi “come se fossero” umani, servendosi cioè dei meccanismi della cognizione sociale umana per comprendere e interpretare il comportamento dei robot.
Le ricerche sull'utilizzo dei robot con i più piccoli sono invece ancora poche. Questo studio ha cercato di capire se già a 17 mesi, posti in interazione con un robot, i bambini si relazionino a esso attraverso meccanismi psicologici tipici delle interazioni umane.
In particolare, i ricercatori si sono soffermati sul valore dello sguardo di un robot, cioè su quanto esso possa rivelarsi informativo, consentendo ai piccoli di anticipare la sua stessa azione. Sebbene, infatti, quelli osservati siano stati maggiormente attratti dallo sguardo umano, i risultati hanno mostrato che anche lo sguardo di un robot viene da essi impiegato efficacemente per anticiparne i comportamenti.
I soggetti osservati hanno dimostrato di “preferire” le situazioni in cui lo sguardo del robot era coerente con le azioni da esso compiute, cioè quando lo sguardo era orientato sull'oggetto su cui il robot avrebbe agito di lì a poco; si sono invece mostrati “perplessi” di fronte agli sguardi incoerenti con le azioni, cioè orientati nella direzione opposta a quella dell’oggetto. Possiamo, dunque, affermare che la simulazione da parte di un robot antropomorfo di un comportamento socialmente saliente attira, in una certa misura, la nascente attenzione sociale dei bambini molto piccoli.
Questa scoperta permette di ipotizzare un futuro nel quale i robot diventeranno partner sociali competenti anche nei primi mesi di vita, supportando la socializzazione precoce sia in condizioni di sviluppo tipico sia nel caso in cui fossero presenti fattori di rischio evolutivo.