Stiamo vivendo un punto di svolta in cui populisti ed euroscettici ottengono consensi e risultati difficilmente immaginabili pochi anni fa. Le recenti elezioni europee ne sono una prova evidente. Secondo il demografo dell’Università Cattolica Alessandro Rosina le spiegazioni dell’ascesa del populismo sono da ricercare nei cambiamenti demografici, nell’invecchiamento dell’Europa, che va di pari passo però con l’innovazione tecnologica e con la sempre più centrale attenzione che si dà al fenomeno dell’immigrazione.

«Un’Europa che è sempre più vecchia ha un rapporto complicato con le nuove generazioni: migliorarlo è condizione imprescindibile per un futuro in cui l’Italia possa giocare un ruolo diverso, più attivo, nelle sorti europee». Analizzando i dati del Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo si intuisce come gran parte di loro riconosca nell’Unione Europea un’istituzione forte che negli anni ha saputo tenere fede al suo compito principale, ossia quello di non avere più i conflitti del secolo scorso. Tuttavia la percezione è che vivere in Europa e in Italia sia sconveniente, soprattutto se queste due sono sempre più deboli. Si avverte come il peso demografico del Vecchio continente nel mondo stia scemando. L’Europa non è più un punto di riferimento.

Come fa notare Rosina, «se nell’Ottocento e nel Novecento era europeo il 25% della popolazione mondiale, oggi lo è meno del 10%. Bisogna invertire la tendenza, capire cosa può e vuole essere nel ventunesimo secolo l’Europa, che, se unita, è ancora il terzo “Paese” al mondo”». Il sentimento europeo, che è forte nei giovani, inizia però ad attecchire meno in una parte di essi che fa fatica a vedere nell’Europa unita una soluzione, anzi prova sfiducia nelle sue effettive possibilità. È per questo che si fa sedurre dal populismo. 

Per l’economista Andrea Boitani, «questo è un fenomeno complesso e variegato, sottovalutato spesso con spocchia da economisti e studiosi. Il populismo non è una novità, in un certo senso populista lo era già Giulio Cesare che, per costruire il suo Impero, fece ampio affidamento sul popolo». Ma, come fa notare il suo collega Rony Hamaui, «di populismi ne esistono tanti che spesso vanno in malora ma riescono sempre a risorgere: da quello russo a quello americano, da quello europeo a quello sudamericano, tutti però sono accomunati da alcuni tratti ricorrenti, uno su tutti quello della promessa, una tentazione continua presente nei discorsi dei leader populisti».

Per i sostenitori di questa ideologia non esistono distinzioni, classi ma c’è un appiattimento generale che produce la formazione di due sole fazioni: l’élite e il popolo, perennemente opposte. Per Boitani si tratta di un’ideologia sottile, che si può sposare con qualsiasi altra ideologia forte. L’etimologia della parola populismo è di difficile comprensione, i rimandi e le ispirazioni sono tante, fin dalla volontà generale di Rousseu. Nella creazione della già citata dicotomia tra il popolo (i buoni) e l’élite (i corrotti, i privilegiati), un grande lavoro è ormai svolto dai social media, dove la violenza del dibattito ha raggiunto vette inesplorate negli altri Paesi. 

Come sottolinea Boitani, «i populisti hanno bisogno di nemici da combattere, spesso infatti trovano terreno fertile negli errori delle classi dirigenziali che li hanno preceduti, e sfruttano spesso delle percezioni sbagliate, l’elemento paura che costantemente alimentano, per creare consensi. Si va dall’immigrazione, il punto più facile e redditizio, fino all’invocazione del nativismo e al disagio per la multietnicità». Se queste sono le apprensioni verso il risorgere del populismo, quali le soluzioni? La crescita economica e culturale è l’unica via per superare una fase complessa della politica italiana ed europea.