Il 1° agosto ricorre il centenario della nascita di Giancarlo Brasca, rappresentante autorevole del laicato cattolico nella seconda metà del secolo scorso e direttore amministrativo dell’Università Cattolica, dove diede continuità agli intenti del fondatore padre Agostino Gemelli, di cui fu collaboratore.

Brasca, infatti, era nato a Mezzago (in provincia di Milano) il 1° agosto 1920. Si era iscritto alla facoltà di Lettere e filosofia dell’Università Cattolica nel 1938, su consiglio del suo assistente spirituale in Azione Cattolica, don Francesco Olgiati, docente dell’Ateneo e valido sostegno di padre Gemelli nella fondazione della Cattolica. Il 24 ottobre del 1942 Brasca si laureò in Filosofia con una tesi su I presupposti filosofici della pedagogia di Fichte, avendo come relatore lo stesso Olgiati. Qualche giorno dopo, il 2 novembre, venne assunto in Cattolica e destinato da padre Gemelli alla biblioteca per la funzione strategica che aveva nella sua visione di università. Nel 1945 ne divenne direttore, incarico che mantenne fino al 1959, occupandosi della sua modernizzazione. Intanto nel 1951 era stato nominato Segretario di amministrazione, nel 1969 segretario generale amministrativo e nel 1971 direttore amministrativo dell’Università Cattolica, fino alla morte avvenuta nel 1979, il primo a ricoprire questo ruolo nella storia dell’Ateneo. 

Nelle sue funzioni si occupò della nascita della facoltà di Agraria a Piacenza nel 1952 e di quella di Medicina a Roma, partecipando alla fondazione del Policlinico Gemelli inaugurato nel 1964. Si interessò anche dell’istituzione dell’Isef (Istituto superiore di educazione fisica) che iniziò i suoi corsi nel 1964. 

Negli otto anni come direttore amministrativo collaborò con il rettore Giuseppe Lazzati per superare la fase della contestazione sessantottina che aveva deteriorato il rapporto con il mondo cattolico, ricostruendo quel legame e qualificando l’Università come luogo di elevata cultura per la formazione delle nuove leve, l’implementazione della ricerca scientifica e la promozione della formazione permanente che andava oltre i percorsi scolastici per radicarsi nel mondo delle professioni sempre meritevole di aggiornamento. A questi nuovi obiettivi dell’Ateneo cattolico, Brasca offriva l’adeguato supporto amministrativo. 

Occorre aggiungere che i primi anni in Cattolica, coincidenti con le vicende della Seconda Guerra Mondiale, videro Brasca impegnato anche in altri settori che ne affinarono la professionalità e la spiritualità. Infatti negli anni 1943-44 fu attivo nel rischioso lavoro dell’”Ufficio falsi” creato da padre Carlo Varischi e dal professor Ezio Franceschini, procurando documenti per i partigiani e i renitenti alla leva e salvando in tal modo molte vite umane. Individuato come persona sospetta, riuscì a fuggire tempestivamente evitando la deportazione in Germania.

Intanto, l’8 settembre 1945 Brasca entrò a far parte dei Missionari della Regalità di Cristo, istituto secolare voluto da padre Gemelli, composto da uomini e donne che si dedicavano al Regno di Dio restando nel lavoro ordinario e nelle responsabilità della vita quotidiana. Di tale sodalizio divenne presidente nel 1970 e nel 1972 fu nominato presidente mondiale della conferenza degli istituti secolari e consultore della Congregazione vaticana per i religiosi e gli istituti secolari. 

Le crescenti responsabilità in Università e lo status di consacrato non gli impedivano di dedicarsi al mondo circostante caratterizzato da sfide e da cambiamenti. Così nel 1945 fu tra gli iniziatori della Gioventù Studentesca ambrosiana, un nuovo ramo della Gioventù Italiana di Azione Cattolica e dal 1958 al 1964 fu presidente diocesano dell’Azione Cattolica, nominato dall’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini, poi papa Paolo VI. La sua presidenza fu caratterizzata dall’attenzione alle periferie, dalla formazione dei lavoratori, dal dialogo con il mondo operaio e dalla comprensione del dissenso giovanile che in quegli anni iniziava ad emergere vivacemente.

Il suo ruolo negli istituti di vita consacrata a livello mondiale lo portò a compiere alcuni viaggi in Polonia per la costituzione degli istituti secolari e di conseguenza a conoscere l’episcopato polacco, che peraltro aveva spesso incontrato a Roma in occasione delle sessioni del Concilio tra il 1962 e il 1965. Così nacque l’amicizia con l’arcivescovo di Cracovia Karol Wojtyla, che nel marzo del 1977, su invito del rettore Lazzati, presso la sede milanese della Cattolica svolse una conferenza ai docenti sul tema “Cultura e prassi”.

Wojtyla chiamava Brasca il suo “amico italiano”, così quando venne eletto papa, il 16 ottobre 1978, dato che la sua figura non era molto nota al grande pubblico italiano, la stampa e le televisioni intervistarono proprio Brasca per conoscere meglio il nuovo papa. Brasca era ormai malato e ricoverato presso il Policlinico Gemelli ma ritenne ciò un suo dovere e volentieri si prestò a dare notizie sulla persona del nuovo pontefice e sulla sua esperienza in terra polacca. 

Morì il 24 gennaio 1979, all’età di 59 anni, confortato qualche giorno prima da una telefonata di Giovanni Paolo Il.  Nel 2009, in occasione del trentennale della morte di Brasca, il cardinale Carlo Maria Martini, allora arcivescovo emerito di Milano, si era espresso così su di lui: “È vero che i nostri anni non sono più quelli di Giancarlo Brasca. Eppure la sua passione per il Vangelo, la sua lucida intelligenza nell’avvertire le nuove situazioni che la testimonianza cristiana doveva affrontare, la sua dedizione senza risparmio al servizio della Chiesa, fanno di lui, laico per il Vangelo, un testimone autorevole che ancor oggi può stimolare il nostro cammino”.