«La novità del mio lavoro di ricerca sta nell’aver “esportato” un’esperienza, unica in Europa, di insegnamento disciplinare in lingua straniera a livello curricolare». Mario Pasquariello (nella foto) è un insegnante e, soprattutto, un giovane ricercatore che indaga le nuove frontiere dell’insegnamento. Per la sua tesi di dottorato in Scienze linguistiche e letterarie ha scelto un progetto che nasce all’interno di una ricerca sullo sviluppo professionale dei docenti, diretta dalla professoressa Maria Teresa Zanola.
Il suo lavoro, che ha avuto per tema “Apprendimento linguistico integrato e video-educazione: le nuove frontiere dell’insegnamento. Il progetto Clil-Muvi”, ha indagato la formazione continua dei docenti italiani di discipline non linguistiche che, chiamati a insegnare secondo la metodologia Clil, si sono messi alla prova con una lingua straniera.
Una parte del suo progetto si è svolta oltralpe, grazie a un progetto di co-tutela con l’Università di Bordeaux Montaigne, ed è servita a “esportare” il nostro modello in Francia. «L’esperienza francese mi è servita moltissimo, soprattutto da un punto di vista metodologico» afferma. «Condurre una ricerca di interesse nazionale è già di per sé una sfida importantissima; se poi il banco di prova è addirittura internazionale, l’impresa assume un respiro più ampio. Interfacciarsi con un sistema altro insegna a non dar nulla per scontato, a cercare le ragioni per giustificare quello che per il nostro ordinamento scolastico può sembrare ovvio ma che fuori dalle “mura domestiche” non lo è; insegna a valorizzare le specificità, contestualizzando e al tempo stesso decontestualizzando la ricerca».
L’acronimo Muvi, che accompagna il più famoso acronimo Clil, sta per Micro-Unità Videoregistrate di Interazioni didattiche. «Il lavoro racconta questa esperienza in cui abbiamo ripreso, in giro per l’Italia, la prassi didattica di 23 insegnanti di liceo in varie discipline e in diverse lingue. Nella fattispecie il mio lavoro di ricerca analizza i campioni di interazione didattica per determinare il grado di innovazione metodologica apportato dall’introduzione ordinamentale del Clil» racconta Pasquariello.
Quella del Clil è nuova metodologia didattica che si sta diffondendo nella scuola dell’autonomia. «In linea con le raccomandazioni europee che auspicano competenze plurilingui nei cittadini dell’UE, questo metodo è adottato sempre più frequentemente per le notevoli opportunità che offre agli studenti di maggiore esposizione alle lingue straniere nell’ambito del programma scolastico, maggiore sensibilizzazione allo scambio di informazioni e documentazione scientifica in lingua straniera, costante incoraggiamento a riflettere sui meccanismi cognitivi e sulle strategie di apprendimento».
L’insegnamento di tipo Clil non è un’esperienza di apprendimento di lingua settoriale. «Gli obiettivi sono sia disciplinari sia linguistici e sono perseguiti attraverso la lingua straniera che sviluppa nel contempo competenze comunicative» prosegue. «L’insegnamento veicolato in una lingua diversa dalla lingua di scolarizzazione resta saldamente ancorato agli obiettivi disciplinari; gli obiettivi linguistici sono strettamente connessi a contenuti e attività di apprendimento della materia, tramite percorsi di formazione alle abilità di comprensione e di produzione (orali e scritte) che preparano alla comunicazione specialistica in lingua straniera nella materia insegnata. La prospettiva di crescita linguistica nel Clil è condizionata dagli obiettivi disciplinari».
Qual è dunque l’apporto dell’insegnamento in lingua vericolare alle singole discipline? Perché bisognerebbe scegliere di insegnare contenuti in una lingua straniera? «In primo luogo, dal punto di vista comunicativo studiare la Geografia, la Storia o la Storia dell’arte in una lingua straniera rappresenta un’esperienza di apprendimento più ricca e stimolante sia dell’apprendimento della disciplina in L1 sia dell’apprendimento della LS».
Ma c’è un altro motivo. «Un programma Clil si distingue anche dal punto di vista metodologico per scelte dettate non soltanto da esigenze didattiche ma dalla rilevanza (rispetto agli obiettivi), dall’interesse (che incide sulla motivazione) dal bisogno (di determinate strutture espressive rispetto ad altre); dall’utilità dei contenuti appresi».
Una risorsa, dunque, per la scuola e per gli insegnanti. «Usare una lingua straniera per imparare una discipina - conclude Pasquariello - serve anche a indicare una via per uscire dai compartimenti stagno in cui si tende a percepire l’apprendimento nella scuola secondaria; un modo per affrontare la complessità del mondo che ci circonda attraverso principi di “semplessità”. Ma questa è un’altra storia, una direzione di ricerca magari per un post-dottorato».