Che sia persa, guadagnata o ritrovata la credibilità politica è spesso al centro del dibattito pubblico su candidati, programmi e partiti. Capire cosa si intenda per credibilità politica è dunque necessario per potere comprendere a fondo molte discussioni che imperversano oggi: chi è un politico credibile, che ruolo hanno i media nel costruire la reputazione dei candidati e come la pandemia mette in discussione i nostri punti di riferimento sono alcuni esempi che possono essere interpretati attraverso questa chiave di lettura.

 

 

Innanzitutto, «la credibilità politica non è da intendere come una qualità personale, ma come una relazione» spiega Guido Gili, docente di Sociologia della comunicazione dei media all’Università del Molise e co-autore con Massimiliano Panarari de La credibilità politica: Radici, forme e prospettive di un concetto inattuale (Marsilio, 2020). Questo comporta che la credibilità politica abbia un carattere dinamico, che cambi nel tempo, che possa essere trasferita tra individui e tra contesti e che potenzialmente un candidato possa apparire del tutto credibile per la propria base elettorale e non per i detrattori.

 

Ma perché riteniamo un politico credibile? Per rispondere a questa domanda Gili individua tre radici della credibilità: la conoscenza e la competenza; la condivisione di valori e l’affettività tipica anche nei rapporti amicali. Evidentemente per provare un legame affettivo e vedere un leader politico come l’uomo della porta accanto è necessario che questi abbia qualità estremamente “normali” e forzatamente simili a quelle dell’elettorato di riferimento. La personalizzazione dei candidati «diventa ancora più forte oggi all’insegna dell’individualizzazione, riflettendo e ricercando il rapporto personale» attraverso tutti i mezzi di comunicazione possibili, sottolinea Massimiliano Panarari, sociologo della comunicazione e professore presso il Master in Management della comunicazione sociale, politica e istituzionale all’Università Mercatorum di Roma. Inoltre, a partire dagli anni Duemila le leadership sono «rapide nel consumarsi e nel bruciarsi perché a causa della dimensione relazionale della credibilità» questa può essere da un momento all’altro ritirata da uno dei partecipanti al rapporto, argomenta Panarari. La revoca può avvenire, «se un politico non si dimostra adeguato rispetto al proprio compito, per una sconfitta elettorale bruciante” a seguito della personalizzazione di una tornata elettorale e “per azioni o omissioni che dilapidano la credibilità prima costruita», conclude Panarari.

 

Circa la competenza che deve avere un politico per risultare credibile, Gili spiega che si tratta di una competenza molto diversa da quella degli scienziati: è una competenza essenzialmente di sintesi ed è “finalizzata a una decisione”. Una specificità chiara in questo periodo di pandemia: gli scienziati devono fornire nozioni e analisi tecniche sulla base delle quali sono poi i politici a decidere quali misure adottare sintetizzando i vari dati e punti di vista a disposizione. Una corretta sintesi e una posizione coraggiosa nello scegliere tra alternative che mettono in conflitto il consenso elettorale e un ideale determinano il grado di credibilità di un politico: insegnare questa responsabilità per formare una nuova élite è anche l’augurio espresso da Gili e Panarari in occasione del Centenario dell’Università Cattolica.

 

Paradossalmente è proprio il proliferare dei punti di vista espressi in questi mesi dai virologi ad avere talvolta fatto traballare la loro credibilità: la logica mediale dei talk show, la necessità di contrapposizione, la richiesta di certezze vanno poco d’accordo con i tempi lenti della scienza e con il suo procedere per ipotesi e falsificazioni spiega, Massimo Scaglioni, docente di Storia dei media e direttore del centro di ricerca su TV e audiovisivi all’Università Cattolica: «La pandemia ha agito sulla credibilità politica come un grande terremoto», conclude Scaglioni, mettendone in luce la caducità e fluidità.