A un mese dalla morte, avvenuta il 17 gennaio, Emanuele Severino viene ricordato con un evento che si tiene martedì 18 febbraio a Brescia, sua città natale. Il Trigesimo in ricordo del Professor Emanuele Severino si tiene alle 16.30 al Palazzo della Loggia (in piazza Loggia 1). Partecipano: Emilio Del Bono, sindaco di Brescia, che testimonierà la vicinanza della città alla famiglia del pensatore; Ines Testoni e e Anna Severino, nell’ordine presidente e vicepresidente di Ases (Associazione di Studi Emanuele Severino). Nel corso della cerimonia di ricordo sono poi previsti interventi e testimonianze di Franco Anelli, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore; Gian Mario Bandera, direttore del Centro Teatrale Bresciano; Ilario Bertoletti, direttore dell’Editrice Morcelliana; Roberto Calasso, direttore della casa editrice Adelphi; il senatore e storico Paolo Corsini; Giulio Goggi, vicepresidente Ases; Michele Lenoci, professore dell’Università Cattolica; Maurizio Tira, rettore dell’Università Statale di Brescia. L’evento è stato voluto e organizzato da Ases e Comune di Brescia. Pubblichiamo nell'occasione un profilo a cura del professor Michele Lenoci


di Michele Lenoci *

Emanuele Severino, nato a Brescia nel 1929, si è laureato nel 1950 in Filosofia a Pavia (dove era stato ospite del Collegio Borromeo) con una tesi sul rapporto tra il pensiero di Heidegger e la metafisica, discussa con Gustavo Bontadini, allora docente di Filosofia teoretica in quella sede. Subito dopo si trasferisce in Cattolica, seguendo Bontadini, nel frattempo chiamato sulla cattedra di Filosofia teoretica, in sostituzione di Amato Masnovo. Giovanissimo, nel 1952, ottiene la Libera docenza in Filosofia teoretica e nel 1957 la deposita in Cattolica, avendo ottenuto il previsto Nulla osta da parte della Congregazione dei Seminari e delle Università. Dal 1956 insegna come incaricato di Storia della filosofia contemporanea e di Storia della filosofia antica nelle Facoltà di Magistero e di Lettere e filosofia. Nel 1962 viene chiamato come ordinario di Filosofia (Istituzioni) presso la Facoltà di Magistero e dal 1963 avrà anche l’incarico di Filosofia morale presso la Facoltà di Lettere. Quando, nel 1965, verranno aperti i corsi della Facoltà di Magistero presso la Sede di Brescia, insegnerà Filosofia (istituzioni) pure in quella Sede. In seguito alla incompatibilità tra alcune tesi del suo pensiero e la dottrina cattolica, ravvisata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, incompatibilità che egli stesso pienamente condivide, nel 1970 si trasferisce presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove inaugura il corso di laurea in Filosofia.

La sua Opera omnia strettamente scientifica è apparsa in molti volumi presso Adelphi; invece, presso Rizzoli, Morcelliana e altre case editrice ha pubblicato un gran numero di volumi su questioni derivate e conseguenti oppure con intenti di natura culturale e divulgativa. La sua riflessione si caratterizza per uno stringente rigore logico, a partire da alcune premesse, esplicitamente poste e considerate immediatamente evidenti e innegabili, pena contraddizione. Il rispetto del principio di non contraddizione (nella versione parmenidea) è il punto di forza su cui poggia e intorno a cui ruota tutta la sua filosofia, sia pure nei molteplici e complessi sviluppi, che nel corso degli anni sono stati elaborati con grande precisione. Sua opera fondamentale è la Struttura originaria, pubblicata presso la Scuola Editrice nel 1958.

La sua riflessione segue due grandi percorsi, per certi aspetti paralleli: uno mira a manifestare una proposta per dare alla realtà e all’uomo un fondamento veritativo, assoluto e innegabile; un secondo ripercorre le caratteristiche del pensiero occidentale, che in tutta la sua storia si è allontanato dalla verità dell’essere, e nell’età della tecnica perviene all’esito di un radicale, coerente, ma, proprio per questo, assai potente, nichilismo.

Il principio di non contraddizione è la legge suprema che regge pensiero e realtà, giacché ogni ente, esistente, passato o futuro, fittizio o possibile sottostà a tale principio che dice: l’essere è e non può non essere; il nulla non è. Pertanto l’essere – ogni ente o sfumatura di ente, che tale è in quanto è un positivo, cioè essere, e, come tale si oppone al nulla – è immobile ed eterno e sarebbe contraddittorio che andasse nel nulla o da esso provenisse. Perché, in tal modo, l’essere si identificherebbe con il nulla. Di principio, quindi, il divenire è impossibile e con esso la morte, la distruzione e la produzione, il perire e il creare, tutti quei processi che affaticano la storia dell’uomo e la vicenda della tecnica, con le angosce che li accompagnano. Ma il divenire anche di fatto non consta empiricamente: Severino si sofferma a lungo su un punto che, per molti aspetti, costituisce il suo approdo più originale. L’esperienza non mi attesta l’annullamento del qualcosa o il suo provenire dal nulla, ma solo il suo scomparire e il suo sorgere. Scomparire è diverso da annullarsi: sicché l’esperienza non mi dice che succede a quanto scompare. La ragione, però, in forza del principio di non contraddizione, mi costringe a dire che quanto scompare non si annulla, ma continua a essere, conservato nella totalità del positivo, che trascende quando empiricamente appare e scompare. E il tempo avvicenda gli eterni che appaiono nell’orizzonte dell’apparire finito. Questa è la storia e la vicenda umana, il cui senso è già tutto salvato e deciso nella positività totale, armoniosa e completa, libera da ogni contraddizione e conflitto. Questo è il Destino, che significa verità necessaria e necessità di tutti gli enti nel loro essere e dispiegarsi. Questa è Episteme, cioè un sapere che poggia su basi che non possono essere scosse.

La civiltà e la filosofia occidentali, fin dalle loro origini, sono invece animate da una convinzione; che le cose nascano e muoiano, possano essere prodotte e distrutte, a seconda che la volontà progetti e decida. Questa convinzione, lontana dalla verità, è il vero nichilismo, cui si oppone la voce della verità annunciata da Parmenide, ed eternamente valida, ancorché negata e respinta. E le grandi tensioni, interne al pensiero occidentale (empirismo/razionalismo; idealismo/positivismo; fede/ragione; capitalismo/comunismo), sono tutte sottese dalla comune convinzione che si dia il divenire come passaggio dall’essere al nulla e viceversa. Sicché i loro contrasti sono solo derivati e secondari. In questo contesto, la tecnica porta coerentemente all’estremo questa convinzione, per cui il produrre diventa l’essenza della civiltà e della cultura, in quanto accresce all’infinito la potenza (volontà di potenza) dell’apparato tecnologico- scientifico, che diventa così il succedaneo di Dio o della Natura.

Da un lato, Severino ha inteso smascherare tutti i presunti nobili ideali, destinati a cedere di fronte alla cruda brutalità del produrre tecnico (ecco perché egli poteva apparire nichilista, mentre intendeva collocarsi all’opposto del nichilismo, come fede nel divenire), giacché di quel produrre condividono la convinzione di fondo. Dall’altro, egli (come ragione pensante, più che come singolo uomo-filosofo) può solo evocare la possibilità che l’epoca della grande alienazione faccia spazio al dischiudersi della verità del destino, finalmente riconosciuta nel suo apparire. Questo però non sarà frutto dell’iniziativa del singolo uomo, ma solo della possibile modalità di apparire degli eterni.

* Docente di Filosofia teoretica nella facoltà di Scienze della formazione