…Il resto vi sarà dato in aggiunta. È una notissima frase del Vangelo ma è anche il titolo scelto per il volume edito da Vita e Pensiero degli studi in onore di Renata Lollo, che per prima istituì in Cattolica la cattedra di Letteratura per l’infanzia.
«È una frase a me molto cara, è una filosofia di vita che si lega anche al mio percorso accademico - racconta la professoressa - : ho sempre desiderato studiare ma non ho mai pensato, mentre lo facevo, al risultato, alla carriera. Sapevo solo che studiando dovevo fare bene la mia parte. Il resto è arrivato “in aggiunta”, appunto. È anche un modo per restare liberi dentro e di godere con serenità della stima, non affettata, e oserei dire dell’affetto di altri colleghi, studiosi, studenti. Mi ritengo molto fortunata perché ho avuto più di quanto potessi meritare, ma sempre rimanendo fedele a quello che ho sempre sentito come giusto».
Nel capitolo dedicato alla sua biografia si legge che La responsabilità dell’artista di Maritain ha lasciato in lei una traccia profonda. Perché? Quel libro uscì mentre preparavo la mia tesi su Clemente Rebora, La scelta tremenda. Io sono cresciuta in una scuola laica dove l’atto della scrittura veniva concepito come libero e completamente dipendente dall’autore, senza interferenze di alcun genere sulla distinzione tra giusto e non. Mentre seguivo il percorso di Rebora, prima poeta, poi convertito e di nuovo poeta, ho scoperto la libertà vera dell’artista: Maritain traccia l’autonomia dell'arte e della morale (in quanto la prima riguarda l'opera e la seconda l'uomo), ma insieme ne evidenzia il collegamento, perché l'uomo appartiene all'una e all'altra come produttore intellettuale e agente morale. Ne rimasi fulminata perché ritrovavo il senso di quello che nella concezione laica mi mancava.
Quali sono i libri che ogni bambino dovrebbe tenere sul comodino ancora oggi? Salmi per voce di bambino. Libri esili e stupendi per aiutare i bambini a crescere: poche parole ma che ti accompagnano e sostengono. Oggi, a mio modesto parere, si accentuano troppo i toni sulla fantasia, la libertà, l’andare contro corrente, c’è un eccesso di laicità. Dobbiamo aiutare i bambini a capire che c’è una cammino da percorrere e che lungo la strada vanno intrecciate delle relazioni, affrontati degli ostacoli: la vita ha un senso perché ha una direzione. Come fanno altrimenti a capire la loro realtà interiore? Che vale la pena anche soffrire per costruire? Spesso i bambini di oggi non sanno leggere le contraddizioni e hanno bisogno di verità e carezza. Dobbiamo preservare il loro stupore, la loro sacralità. L’insipienza verso la verità è un rischio da cui guardarsi.
Quanto è cambiata la letteratura per l’infanzia da quando ha iniziato a oggi? L’apertura verso la letteratura straniera, cominciata nel Novecento con l’apporto di quella americana, continua a crescere, si apre soprattutto verso nuovi mondi ancora da esplorare e conoscere: orientali, per esempio, di tradizione cattolica o musulmana, nuovi linguaggi che bisognerebbe studiare e approfondire.
Cosa comporta questa apertura? Ha come rovescio una crisi d’identità del nostro Paese: facciamo fatica a capire chi siamo e cosa vogliamo rispetto a un mondo senza confini dove le forme di famiglia sono le più varie. Non abbiamo ancora vissuto il travaglio di riflessione necessario e qualche legge non basta a sciogliere il nodo di cui i titoli per l’infanzia sono solo una cartina tornasole. Si dice sempre che i ragazzi leggono poco, a ma pare soprattutto che parlino molto meno. La mia comunque è solo un’intuizione, altri meglio di me sapranno studiare in futuro questi temi.
Qual è il ricordo più prezioso dei suoi anni in Cattolica? Tanti, ma primo esserci venuta: è stato un trauma, ma benefico. Poi la bellezza dello studio e dell’ascoltare le lezioni, penso al professor Franceschini, a Pototschnig, a Cigada…
Lei è stata allieva di Ines Scaramucci che negli anni ’60 l’ha invitata a collaborare alla rivista “Il Ragguaglio Librario”. Cosa le è rimasto di quella esperienza? Lì ho imparato a scrivere; ogni mese c’era qualcosa da pubblicare, era un allenamento continuo. È stata una scuola di formazione alla scrittura. Oggi le riviste dovrebbero secondo me offrire spazi ai giovani, essere officine di crescita della scrittura, anche di servizio (recensioni o altro) così che i nuovi intellettuali passino attraverso forme di scrittura breve prima di mettersi alla prova con le monografie.
Della Scaramucci ha detto: «Prima veniva la persona e il lavoro universitario aveva senso solo per la crescita della persona». È questo il lavoro di un professore? Certo. Lo studio senza relazioni, senza l’attenzione alla persona, non ha senso.