Un’area umanitaria in Siria per chi è costretto a tornare a casa. Suona strano, ma ad oggi può essere l’unica soluzione possibile per tanti siriani che, scappati all’estero, sono costretti a fare ritorno. A crederci è Sheik Abdo Hsyan, insegnante e profugo siriano rifugiato dal 2015 nel campo profughi di Akkar in Libano, dove dirige il centro educativo Al-Ihsan realizzato per sostenere bambini e adolescenti arrivati dalla Siria con le famiglie.

L’Università Cattolica attraverso l’Unità di Ricerca sulla Resilienza (RiRes) ha realizzato diverse attività di formazione per gli operatori presenti nel campo e creato uno specifico “Programma educativo su resilienza e pace” che ora viene implementato in altri campi profughi in Libano e Siria.

Sheil Abdo ha raccontato come lui e molti altri profughi (in Libano quasi due milioni) non hanno un posto sicuro in cui vivere. Sono scappati da casa perché spesso sono condannati a morte. «Siamo riusciti ad arrivare in Libano, ma questo paese dato il numero elevato di rifugiati non è in grado di gestire l’accoglienza in modo adeguato» - ha raccontato lui stesso durante il convegno dello scorso 11 maggio in largo Gemelli dal titolo “Tornare in Siria. La proposta dei profughi per il rientro in un’area umanitaria”, moderato da Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica della Cattolica e introdotto da Cristina Castelli, direttrice della RiRes.

«Inoltre, il governo libanese non ha ratificato la convenzione di Ginevra sull’accoglienza profughi. Siamo, dunque, costretti a ritornare in Siria, dove, neanche a dirlo, il rischio di finire nel vortice del conflitto politico, etnico e religioso è molto elevato e la paura di essere perseguitati in Siria è tanta. Ecco, quindi, l’idea di trasformare la zona nel sud del Paese, da cui molti dei profughi che vivono in Libano provengono, in un’area umanitaria sotto la protezione internazionale. Apolitica e smilitarizzata».

Con la sua proposta Sheik Abdo Hsyan sta facendo il giro dell’Europa: ha già convinto alcuni membri della Commissione europea a Bruxelles, del parlamento francese, della delegazione Onu a Ginevra e ora il Consiglio comunale di Milano. Intanto aspetta in Libano nel centro profughi provvisorio dove insegna ai ragazzi e dove promuove la convivenza tra diverse culture. Intanto spera: «Noi profughi siriani siamo esseri umani e chiediamo che vengano rispettati i diritti di un essere umano».

A sostegno di questa iniziativa ci sono anche i volontari di “Operazione Colomba”, un progetto che porta soccorso a vittime della violenza in 27 Paesi del mondo e che per la Siria chiede che si fermi la guerra, che siano assistite le vittime, si combatta ogni forma di terrorismo ed estremismo e si raggiunga una soluzione politica. Un appello che l’Università Cattolica sostiene e continua a promuovere con le attività resilienti in Paesi fortemente segnati dalle guerre e dalla povertà. 

Non vi è dubbio, occorre una soluzione sicura che metta al centro la dignità della persona. E per farlo è necessario un appoggio internazionale. E in tempi rapidi.