di Carmela Santomarco *
Ciao a tutti. Mi chiamo Carmela e ho appena concluso il mio percorso di studi nell’Università Cattolica del Sacro Cuore (facoltà di Economia).
Se un anno fa qualcuno mi avesse parlato di andare in Africa, avrei risposto che stavo bene a casa mia. Non era mai stata nei miei sogni. Ma la sera del 1 agosto 2015 sono scesa dall’aereo e la prima indicazione che è comparsa davanti ai miei occhi è stata “Airport Tanzania”!
Era da qualche mese che iniziava a farsi spazio nella mia testa l’idea di partire, ma per andar dove? Una voce dentro di me sussurrava di partire per andare lontano, in cerca di me stessa, o meglio, della parte più vera di me. Grazie al Charity Work Program le mie idee si sono fatte più chiare. Andare in Africa. È lì che mi vuole portare il cuore, è lì che metterò a dura prova quella Carmela, ultimamente, piena di paure e con profondi dubbi su come trovare la vera felicità.
Ricordo perfettamente quella mattina di agosto. Era la prima volta che salivo su un aereo. Dopo una giornata di volo che sembrava infinita, io e Sara, conosciuta in aeroporto quello stesso giorno, eravamo cariche di adrenalina e curiosità. Erano circa le 22 e mancava poco all’atterraggio su terra africana e all’inizio del nostro lungo viaggio.
Non potevamo fare a meno di guardarci intorno, incredule come un neonato appena uscito dal grembo della mamma. Tutto era così nuovo e bello da scoprire. L’autista che ci aspettava era un ragazzo africano di nome Egidio. In macchina con lui abbiamo parlato di calcio e cominciato a capire come funziona la guida in Africa. Sono stati momenti di grande timore ma anche di lunghe risate perché la circostanza era davvero stravagante.
Due giorni dopo raggiungiamo la nostra destinazione, il villaggio di Nyabula. Baba Emilio è il prete locale che ci ospita e costituisce un punto di riferimento per tutti gli abitanti del posto. Io e Sara eravamo le uniche due facce bianche del villaggio, le “Mzungu” per usare lo Swahili.
Nyabula è popolata per lo più da studenti delle scuole superiori che vivono nei dormitori e che riescono a vedere le proprie famiglie solo durante la pausa scolastica e le feste natalizie e pasquali. Nelle classi i ragazzi hanno età molto differenti poiché la spesa scolastica è rilevante per le famiglie. Solo quando i genitori hanno accumulato i soldi necessari è possibile iniziare il percorso di studi.
Dopo una iniziale ma breve diffidenza nei confronti miei e di Sara, hanno rotto ogni barriera e molti ci hanno raccontato a cuore aperto i loro sogni e i loro desideri più intimi. «A me piacerebbe diventare dottore perché ci sono pochi medici e molte persone che hanno bisogno di cure». Un altro: «Io studierò tanto e poi girerò il mondo per far conoscere a tutti la Tanzania». Quanta semplicità nei loro sguardi e quanta bellezza! Ragazzi che, in sintonia a quanto raccomandato con forza da Papa Francesco, non si sono fatti rubare la speranza e, nonostante le condizioni di vita difficili, non cedono allo scoraggiamento.
Non dobbiamo farci scoraggiare dal male! Nella vita ci sono due processi in costante azione: uno quello della costruzione e l’altro quello della distruzione. Di notizie negative, in cui evidentemente l’amore non è stato posto al centro della vita, ne leggiamo molte sui giornali e ne sentiamo tante in televisione. Il male è l’amara costante della vita e con esso dobbiamo fare i conti. Ognuno di noi è chiamato a scegliere, ogni singolo giorno, se essere strumento di amore o di demolizione. Ognuno di noi è chiamato a non sottrarsi a quella “buona battaglia” della fede – di cui scrive Susanna Bo – che dà sale alla vita, anche quando questa sembra farsi matrigna.
Sono davvero grata agli studenti di Nyabula perché, vedendo la semplicità e la gioia con cui affrontano le difficoltà quotidiane, la luce dei loro occhi e le grandi aspirazioni del loro cuore, mi hanno ricordato che perdere nella vita non è cadere, ma non avere la forza e il coraggio di rialzarsi e ricominciare a camminare diritto con lo sguardo verso l’alto. Verso il cielo.
* 23 anni, di San Severo (Fg), studentessa del secondo anno della laurea magistrale in Economia e gestione delle imprese, delle aziende e dei servizi sanitari, facoltà di Economia, sede di Roma