Il mondo delle professioni non può più fare a meno di confrontarsi con il tema del lavoro da casa, erroneamente chiamato indistintamente “a distanza”, o “telelavoro”, o “smart working”. Tante definizioni per indicare un concetto che in realtà assume forme molto diverse.
Nell’ambito del progetto Opinion Leader 4 Future promosso da Almed (Alta Scuola in Media, comunicazione e spettacolo) dell’Università Cattolica, insieme con Credem (Credito Emiliano) si è aperta una riflessione sullo smart working. Abbiamo chiesto a Simone Taddei, responsabile Gestione e selezione del personale Credem, di raccontare l’esperienza della sua azienda che da anni sperimenta forme di lavoro alternative a quello in presenza.
Il lockdown ha imposto alla maggior parte dei lavoratori italiani di lavorare da casa. Nella vostra azienda, già rodata da questo punto di vista, cosa è cambiato nei processi di lavoro e cosa ha significato estendere a tutti la modalità dello smart working? «Soprattutto nella fase iniziale della pandemia, dovremmo parlare di un remote working forzato più che di smart working (vedi l’approfondimento qui a fianco). Nel giro di pochi giorni tanti colleghi si sono ritrovati chiusi in casa, spesso con altre persone da gestire in contemporanea all’attività lavorativa, e in condizioni non ottimali. Il 24 febbraio abbiamo scritto a tutti i colleghi per dare loro la possibilità di richiedere lo smart working senza particolari difficoltà in quanto tutti hanno uno smartphone aziendale e la maggioranza un pc portatile. Sono stati esclusi solo i ruoli di filiale necessari a garantire la continuità operativa. Le nostre strutture centrali della Direzione Commerciale, dei Sistemi Informativi, dell’Organizzazione nonché delle Strutture di Controllo si sono immediatamente attivate per digitalizzare i processi e riadattare diverse modalità operative per consentire la prosecuzione dell’attività aziendale da remoto. Posso dire con soddisfazione che le risposte date sono state di alto livello e di indubbio beneficio per tutta la popolazione aziendale, soprattutto per chi era in prima linea in un momento di poca chiarezza e di forte impatto emotivo».
Dopo l’emergenza che ha costretto tutti a lavorare solo da casa quali riscontri avete avuto dai lavoratori? Ci sono stati dei problemi in itinere su cui avete dovuto lavorare per migliorare l’esperienza lavorativa? «La velocità con cui l’azienda si è mossa e l’attenzione dedicata alle nostre persone sono state molto apprezzate in un momento di incertezza e di particolare difficoltà nella gestione famigliare. Ovviamente con situazioni diverse in funzione della logistica, delle peculiarità individuali, nonché degli impatti del Covid, sui vari territori. Nel corso dei mesi la situazione normativa, sanitaria e lavorativa ha subito diverse evoluzioni e gli impatti anche emotivi sulle persone sono stati rilevanti. In tal senso, come azienda, abbiamo ampliato l’offerta delle attività di supporto già presenti per i nostri dipendenti estendendo le assicurazioni personali (in cui abbiamo incluso una specifica copertura Covid), fornendo supporto diretto tramite un numero dedicato per assistenza medica, facendo dei seminari di supporto psicologico sia per gestire il momento dell’emergenza che per prepararsi al rientro alla normalità, dando la possibilità di acquistare sedie, pc, monitor e altri strumenti utili per svolgere il lavoro da casa a prezzi negoziati dall’azienda e quindi più favorevoli, nonché elargendo formazione a responsabili e persone su come gestire in modo efficace una relazione a distanza forzata e in video conferenza per così tanto tempo».
Dopo cinque mesi continuativi di smart working quali sono a suo giudizio i pro e i contro di questa modalità? Qual è il valore aggiunto del lavoro in presenza e di quello a distanza? «Il maggiore “pro” di questa modalità è stato quello di riuscire a gestire e coniugare in un momento difficile le esigenze di salute e tutela delle persone con la necessità di mantenere la continuità operativa della nostra azienda. Inoltre le persone hanno acquisito maggiori competenze tecnologiche e una maggiore autonomia sperimentando in modo intenso l’efficacia di modalità relazionali diverse da quella fisica, tutti elementi necessari per modelli organizzativi resilienti. Di fatto abbiamo accelerato un cambiamento culturale e organizzativo che in condizioni di normalità avremmo probabilmente impiegato anni a realizzare. Il “contro” è stata la perdita delle relazioni in presenza che rappresenta un elemento fondamentale nella dinamica lavorativa e nello sviluppo delle persone».
Avete avuto particolari problemi nell’applicare il remote working a livello di infrastrutture? «Nessuno in particolare, sicuramente avere più di due terzi della popolazione aziendale attiva in remoto da un giorno all’altro non è stato banale e qui l’attività dei Sistemi Informativi e dell’ufficio Welfare sono da sottolineare. Siamo sicuramenti stati avvantaggiati dal fatto di aver gran parte della popolazione già attiva e che aveva già sperimentato e fruito nell’ordinario di tale modalità lavorativa e pertanto già pronta ad alcune dinamiche di lavoro diverse. Questo periodo ci ha permesso di raccogliere tanti suggerimenti e spunti da utilizzare in quel che sarà il ritorno alla normalità, o meglio ad una “nuova normalità”. Quello che è stato il vero e forte cambiamento si è avuto nelle modalità di lavoro e nella necessità per i manager di modificare il loro stile di leadership in cinque mesi di lavoro a distanza rispetto alla situazione pregressa di uno smart working alternato alla presenza fisica. Poiché questa è una sfida molto importante per il futuro abbiamo già iniziato a lavorare con la formazione».
Come vedete il nuovo modello operativo post covid? Totalmente in smart working o all’insegna di un modello misto? Nello specifico, come si sta configurando la gestione del cambiamento in termini normativi e contrattuali? «Dal nostro punto di vista quello da privilegiare e che garantisce nel tempo la miglior performance per le persone e per l’azienda è il modello misto. Un modello magari in forme diverse, senza obblighi di giorni fissi e con la flessibilità legata alle esigenze personali, ma che non può prescindere dall’esistenza di un ufficio, visto come luogo fisico ma anche come spazio di interazione, confronto, scambio di competenze e che sia da stimolo nella creazione e diffusione del concetto di squadra e di gruppo. Noi crediamo che il remote working (forzato) sia stata una soluzione nel periodo contingente ma che nel lungo periodo rischi di trasformare l’azienda in un insieme di freelance chiamati alla risoluzioni di compiti e non alla realizzazione di un obiettivo e scopo comune. Dal punto di vista contrattuale e normativo, con riferimento alla nostra politica del personale, abbiamo già scelto di stabilizzare i contratti che nella situazione eccezionale erano stati attivati solo per far fronte all’emergenza, in modo da dare l’opportunità ai colleghi, anche quando torneremo a una situazione di normalità, di fruire di 10 giorni mensili di smart working. In linea generale, guardando alla nostra esperienza aziendale, sarebbe auspicabile avere delle linee guida non rigide dal punto di vista normativo ma che siano viceversa più flessibili rispetto a quelle attuali, in modo da permettere ad azienda e singola persona di trovare la giusta modalità di smart working, calibrato su esigenze professionali ma anche personali, che sono per ognuno diverse e specifiche».
Tutto considerato pensa che questo adattamento forzato dal Covid sia stato più un problema o più un’occasione? «Una importante occasione per accelerare un cambiamento fondamentale per le organizzazioni, necessario per rimanere al passo con i cambiamenti che stanno attraversando la società in cui viviamo e con le best practice organizzative applicate, in particolare nei Paesi esteri. Durante il periodo del Covid abbiamo sviluppato, su tavoli distinti in base alla finalità e agli attori coinvolti, diverse attività in collaborazione tra il Servizio People e le funzioni di Innovazione, Organizzazione, della Direzione Commerciale e dei Sistemi Informativi, volte a sfruttare il momento particolare in cui tutte le situazioni, positive o negative, erano evidenti per raccogliere spunti, segnalazioni, nuove modalità utili in futuro per migliorare ancora la strada intrapresa da anni nel considerare lo smart working una normale modalità operativa. Alla fine l’“adattamento forzato”, pur senza sminuire tutti i problemi che ha comportato, in particolare per i colleghi che hanno condiviso la giornata con i figli più piccoli in casa, è stata un’occasione importante per abbattere alcune resistenze mentali, presenti nelle persone e nelle stesse organizzazioni, perché l’evidenza empirica ha dimostrato che tante cose si possono fare e bene anche e con lo smart working».