di Arianna Mattei e Giulia Gaddari *

Nelle grigie strade della periferia di Querétaro è fiorito un fiore che ha dato speranza a più di 400 bambini. Si tratta della scuola “El Girasol” che ha consentito di inserire nel mondo dell’educazione numerosi bambini appartenenti a famiglie le cui difficoltà economiche e sociali avrebbero potuto, altrimenti, compromettere un’adeguata crescita educativa.

Partite senza sapere a cosa andavamo incontro nel nostro Charity Work Program, fin da subito ci è stato chiaro che il Messico andava ben otre i suoi stereotipi di tequila, sombrero e mariachi. Il popolo messicano con il suo calore e il suo affetto aveva da insegnarci molto di più: la disponibilità delle persone e la spontaneità nell’offrire il poco che ognuno di loro possiede ci ha fatto riflettere.

Ad accoglierci al nostro arrivo, una comunità povera, semplice e autentica. Ma più di tutto, felice. L’entusiasmo delle suore che si occupavano della gestione della scuola e di tutti coloro che ci lavoravano ci ha contagiato da subito. Ma a darci la carica fin dal primo istante sono stati i centinaia di sorrisi e le urla di gioia dei bambini che affrontavano il loro primo giorno di scuola con una felicità che i nostri ragazzi forse non conoscono più.

Oltre al piano dell’istruzione, la scuola rappresenta un punto di riferimento e un importante appoggio a livello sociale, un’oasi felice nel povero quartiere di Unidad Nacional. È impegnata infatti in numerose attività scolastiche ed extrascolastiche che coinvolgono genitori e famiglie, con le quali, tra le altre cose, cerca di arginare problemi importanti come quello delle ragazze madri o dell’analfabetismo.

Al Girasol tutti i bambini si sentono uguali, sotto quella uniforme grigio-verde di qualche taglia in più perché duri nel tempo, o con qualche strappo qui e là a ricordare una ricreazione particolarmente movimentata. Non esistono cellulari o videogiochi ma tante corde per saltare e tanti “stickers”, con cui i bambini adorano premiare amici e maestri.

A vederli, nessuno potrebbe pensare che, dietro a quegli occhi sempre sorridenti e quegli abbracci copiosi pronti ad accoglierci ogni mattina, si nascondessero spesso situazioni familiari difficili o molto povere.

E così anche noi come i bambini, con il trascorrere dei giorni, abbiamo iniziato ad apprezzare sempre di più ciò che generalmente davamo per scontato, come l’attenzione nell’utilizzo dell’acqua, bene prezioso e limitato per gli abitanti delle periferie di Querétaro o la gioia di condividere un pranzo tutti assieme, per scambiare impressioni e idee.

Non avevamo ben chiaro cosa attendersi da questa esperienza. Di sicuro sappiamo quello che abbiamo trovato: l’autenticità di una comunità capace di apprezzare le piccole cose, l’entusiasmo di chi instancabilmente si adopera per fare la differenza nella vita di bimbi che altrimenti non avrebbero accesso all’educazione primaria, l’energia e il fascino di un paese, il Messico, che nonostante i cambiamenti non vuole rinunciare al suo passato e alle sue tradizioni. Abbiamo riscoperto la semplicità, la bellezza e la meravigliosa sensazione di stanchezza dopo un giorno passato a insegnare, giocare e correre dietro ai bambini.

E se tre settimane sono sicuramente poche per lasciare qualche beneficio concreto in una realtà del genere, sono state più che sufficienti perché questi bambini, i loro visi grati e pieni di gioia, e le instancabili persone che li seguivano, facessero la differenza sul nostro modo di vedere il mondo e, chissà, sul nostro futuro.


* Arianna Mattei, 21 anni, di Milano, terzo anno della laurea in Esperto linguistico per le relazioni internazionali, facoltà di Scienze linguistiche, campus di Milano; Giulia Gaddari, 24 anni, di Nuoro, laureanda alla laurea magistrale in Economics, facoltà di Economia, sede di Milano