Gli occhi di tutto il mondo sono, ormai da mesi, puntati sugli Stati Uniti. Ed è inevitabile. L’America in questo momento sta infatti vivendo una fase di grandissima ebollizione, nella quale stanno saltando fuori fratture antiche e fratture nuove. Si guarda spesso agli Usa come a un Paese d’aspirazione, ma queste crepe sociali stanno mettendo in ginocchio anche loro: «C’è una pandemia, e il Paese è stato chiuso da un presidente che non ha avuto l’istinto di cura nei confronti dei suoi cittadini» dice Paola Peduzzi, ex studentessa del master in Giornalismo dell’Università Cattolica, che oggi è una colonna del Foglio, dove ogni giorno racconta le notizie di politica estera e di esteri in generale. «Tutto questo sta portando a una mobilitazione evidente delle piazze, il cui effetto lo sentiremo forse nelle elezioni di novembre».
Questo è di fatto un momento di grandissimo stress, per gli Stati Uniti e per il mondo intero. Ed è il motivo del perché c’è stato un contagio così diretto di queste proteste anche in Europa. Una fase di turbamento e shock per l’Occidente, che amplifica tutto quello che succede: «Questo shock è dato da un 2020 particolarmente strano e da un cambiamento di leadership e di guide che, di fronte a delle crisi come queste, hanno rivelato la loro inefficacia dal punto di vista concreto».
Questo crea uno scompiglio grande che diventa piazza e scontro da guerra civile, in un clima totalmente surreale. A mancare negli Stati Uniti sono soprattutto delle coordinate politiche che possano restituire un po’ di chiarezza. Saltano tutti gli elementi di dialogo, mentre si erge alta la logica del “me contro te”, imposta da Trump e ampliata poi a macchia d’olio in tutta la società: «Queste proteste così forti sono l’espressione di una leadership che ha modellato negli ultimi anni il Paese su questa tipologia di scontro».
Una tendenza all’esplosione, indotta dunque dallo stesso Trump. Colpisce il fatto che sia una mossa deliberata da parte della presidenza creare uno scontro su qualsiasi tema: «Questo è il format di Trump. Lo faceva già nel 2016, ma nessuno se ne accorse perché non gli si dava importanza. Quando si sente attaccato lui risponde. Eppure con le elezioni dietro l’angolo, i contraccolpi potrebbero essere impronosticabili, come quattro anni fa. Nel 2016 furono i margini a fare la differenza, ovvero piccole percentuali di voto che andarono a lui e non alla Clinton. Però ora sono quelle stesse percentuali che bastano ai democratici per ribaltare la situazione. E, infatti, la campagna elettorale nelle Primarie di Biden era su questi margini». I cosiddetti trumpiani dell’ultim’ora, che votarono il candidato repubblicano perché fondamentalmente non volevano votare la Clinton, anche lei espressione di un mondo vecchio e detestato.
E, quindi, in questo clima di sfiducia e perplessità, danno respiro le note positive: «Quello che a me ha colpito sono stati i sindaci» afferma Paola Peduzzi. «Anche durante la pandemia, c’è stata una grande prova delle amministrazioni locali. Soprattutto ora con le proteste, penso ai discorsi della sindaca di Atlanta, una leadership fatta di cura e attenzione di cui hanno bisogno ora gli Stati Uniti dopo un periodo in cui si sono sentiti bistrattati».