Il prossimo 3 novembre gli americani saranno chiamati al voto per le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. Abbiamo chiesto ad alcuni giornalisti di varie testate, particolarmente esperti di politica americana e molti dei quali alumni dell’Università Cattolica, di aiutarci a capire dove stanno andando gli Stati Uniti e come affrontano uno dei passaggi più delicati della loro storia. Il nostro speciale


di Emiliano Dal Toso

Un’America impaurita e indebolita, attraversata da una campagna elettorale nervosa e violenta, è il teatro del duello presidenziale tra Donald Trump e Joe Biden. Il direttore del giornale online Linkiesta Christian Rocca, laureato in Giurisprudenza in Università Cattolica, ha analizzato le diverse sfaccettature dei due candidati e i significati che potrebbero comportare una vittoria democratica oppure la rielezione di Trump.

Sul Corriere della Sera Massimo Gaggi ha scritto che gli americani voteranno più per un referendum che per un’elezione. È d’accordo? «Quasi sempre le elezioni sono un referendum sul presidente in carica. Non lo sono soltanto quando, dopo due mandati, non si può candidare. Trump contro Hillary non era certamente stato un referendum sull’operato di Obama. Ma concordo con Gaggi che mai, come in questo caso, si tratta di un referendum su Trump, su una figura straordinariamente ingombrante».

Ambiente, tensioni razziali, emergenza sanitaria. Quale di questi temi incide di più sul risultato elettorale? «Parto da quello che pesa di meno: l’ambiente, perché riguarda soltanto l’elettorato più radicale e di sinistra rispetto a Biden, quell’elettorato che non ama il candidato democratico ma che lo voterà comunque perché sa che Trump è un disastro. La mobilitazione dei giovani è più contro Trump che a favore di Biden. Ma le vere questioni che peseranno sono due: il Covid e l’economia. Trump prima del virus aveva soltanto questo forte argomento a suo favore: gli indicatori economici erano positivi con il record di occupazione, la borsa andava benissimo. Questo unico argomento su cui voleva costruire la sua campagna è stato smontato dal virus, e questo è il motivo per cui lo ha sminuito, sostenendo in modo imperterrito e testardo che si tratti soltanto di un’influenza. Ma il virus lo ha già sconfitto, comportando effetti devastanti sanitari ed economici». 

Quindi un effetto Covid è inevitabile? «Quello che bisogna capire, e che potrebbe essere decisivo per il risultato elettorale, è se nell’entroterra e nel Sud degli Stati Uniti il dramma del Covid venga davvero imputato a Trump. C’è chi sostiene che l’economia sta andando male soltanto per colpa del virus, non di Trump. Secondo altri, è stato il Covid a fermare Trump ma soltanto lui può ridare slancio all’economia. Ci sono però anche sondaggi su un elettorato bianco anziano che, essendo il più colpito dal virus, sta spostandosi verso Biden perché è rimasto allibito e danneggiato dall’atteggiamento di Trump. Di sicuro, sarà il Covid a decidere». 

Nel frattempo la comunità afroamericana continua a insorgere…«Le questioni razziali sono nate prima della pandemia. Il Black Lives Matter ha mobilitato e mobilita l’elettorato afroamericano e giovane a favore di Biden, e porterà a votare coloro che quattro anni fa non avevano votato Hillary, perché stavano con Bernie Sanders e per altre ragioni. Gran parte della sinistra radicale, questa volta, anche senza grande entusiasmo, voterà Biden. Trump ha sempre dato la colpa a loro per le rivolte, per i saccheggi e per la violenza, tentando di spiegare che la reazione della polizia è una conseguenza di un disordine anarchico di sinistra e dei gruppi “Antifa”. Ma l’intero elettorato democratico, così come tutta la comunità afroamericana e non solo, sa che è una dichiarazione falsa, perché le proteste nascono proprio dalla brutalità della polizia. I “trumpiani” però si sono sentiti rinsaldare le loro convinzioni». 

Quali sono le ragioni che hanno portato Trump e Biden a basare la loro campagna elettorale soprattutto su attacchi personali? «Credo che Biden non possa essere accusato di questo, sugli attacchi personali ha agito difendendosi, avendo davanti un personaggio talmente discutibile e provocatorio. I due dibattiti sono stati diversi, il primo è stato violento e di bassa qualità, il secondo senza dubbio migliore. In questi dibattiti è emersa però l’impossibilità di discutere con un avversario che nega sempre la realtà, che di fronte alla realtà dice che sono tutte balle e che niente è vero. In questa maniera, viene proprio negata la possibilità di dibattere su qualsiasi tema di interesse pubblico».

Nei confronti dei rispettivi candidati, c’è più malessere tra gli elettori del Partito Democratico o del Partito Repubblicano? «Joe Biden è il rappresentante perfetto e tradizionale del Partito Democratico. Oggi però, con la presenza rilevante di Bernie Sanders, il partito si è molto radicalizzato al punto tale da avere deputati socialisti, ed è una cosa che fino a poco tempo fa in America sembrava impensabile. Quest’area vicina a Bernie Sanders, Alexandria Ocasio-Cortez ed Elizabeth Warren, ovviamente non impazzisce per Biden. Ciononostante, è talmente forte lo spauracchio Trump ed è stata talmente decisiva l’astensione di molti di quattro anni fa che questa volta è molto difficile che l’area socialista non voterà per Biden».

E per quanto riguarda il fronte repubblicano? «Quattro anni fa era il partito di Bush, non di Trump. Ma chi vince le primarie diventa immediatamente il capo dei Repubblicani e in questi quattro anni si è radicalizzato anche il mondo conservatore, marginalizzando i tradizionalisti che hanno fatto una scelta doppia: una parte ha calato la testa per paura di Trump, diventando giocoforza “trumpiana”; un'altra parte più piccola di tradizionalisti già quattro anni fa aveva creato la sigla Never Trump. Si tratta di una classe dirigente che durante la campagna elettorale si è fatta notare con il comitato The Lincoln Project, opponendosi a Trump in maniera straordinaria e utilizzando spot televisivi indirizzati al mondo conservatore. Secondo loro, Trump rappresenta la negazione di Ronald Reagan e del partito Repubblicano, e anche loro voteranno Biden, seppur esclusivamente in ottica anti-trumpiana».

Quali sono le novità più immediate che potrebbe comportare un’eventuale vittoria di Biden? «Un lento ma risoluto ritorno alla normalità. Biden non ha la bacchetta magica ma certamente le cose fatte da Trump pian piano si spegneranno, dall’isolazionismo al negazionismo. Biden tornerà a lavorare con le istituzioni internazionali. Quegli spazi vuoti di dialogo e collaborazione che si sono aperti e che nel frattempo sono stati colmati da Russia e Cina torneranno ad avere una presenza centrale degli Stati Uniti».


Settima di una serie di interviste con giornalisti esperti di politica americana in vista delle Presidenziali Usa 2020