di Sara Conzo *
Quando ho scoperto che avevo superato la selezione per partire per la Tanzania, l’ansia e la paura lasciavano presagire che sarebbe stata un’esperienza importante. Le settimane precedenti alla partenza mi chiedevo se sarei stata all’altezza, se avrei saputo adattarmi, se avrei sentito che quella terra che mi stava per ospitare era troppo “diversa” dalla mia.
Proprio la notte in cui l’aereo si preparava all’atterraggio su Dar es Salaam, mi sono accorta che il terreno sottostante non aveva l’intensa illuminazione a cui ero abituata nel mio Paese. Quel buio così forte mi ha subito fatto capire che avrei dovuto imparare a guardare con occhi nuovi, che avrei dovuto posare la mia corazza di ritmi frenetici, oggetti superflui, convinzioni stereotipate e pregiudiziali.
Ed è proprio in quel momento, quando ho deciso di abbandonarmi nelle braccia di Mamma Africa, che lei mi è entrata dentro l’anima senza chiedermi il permesso e quello che mi ha regalato è stato un lento, impercettibile, ma profondissimo e meraviglioso cambiamento. Lei, con quei tramonti che parevano dipinti, con la sua terra rossa arsa dal sole, con i sorrisi smaglianti dei bambini che facevano risuonare i nostri nomi per tutto il villaggio, con le distese di alberi di Baobab, talmente tanto piegati da sfiorare il terreno, ma che mai si spezzano.
Forse è da loro che prendono esempio tutti quegli studenti e quelle studentesse che quotidianamente affrontano tanti sacrifici per il solo scopo di vedere realizzati i loro sogni, per poter essere in grado, un domani, di aiutare la loro Tanzania; e non importa se i vestiti sono lisi, se almeno tre volte al giorno devono caricare sulle loro teste e braccia più di 20 litri d’acqua, se costantemente devono soffocare la nostalgia per la lontananza dalle loro famiglie. Non credo di aver mai visto sui loro volti un’espressione di arrendevolezza.
È vero. Sono partita con la convinzione di poter insegnare loro qualcosa, ma avevo sbagliato completamente prospettiva. Nelle tre settimane trascorse a Nyabula ogni giorno di più ho imparato a godere della semplicità, ho imparato che la diversità esiste, ma è solo una forza inarrestabile di arricchimento dell’anima, ho imparato ad ascoltare la natura e a sintonizzare i miei ritmi con l’andamento lento delle giornate. Calvino scriveva: “Anche quando pare di poche spanne, un viaggio può restare senza ritorno”. Sono tornata in Italia da un mese ormai, ma il mio cuore è ancora lì e aspetta solo il mio ritorno. Tutaonana Nyabula (arrivederci Nyabula).
* 27 anni, di Carosino (Ta), secondo anno laurea magistrale in Scienze linguistiche e letterature straniere, facoltà di Scienze linguistiche, campus di Milano