«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo... come lacrime nella pioggia. È tempo... di morire». È uno dei monologhi più famosi della storia del cinema. Rutger Hauer, l’attore che ha pronunciato queste parole impersonando il replicante Roy Batty in Blade Runner, è stato ospite in Cattolica lo scorso 2 ottobre della giornata conclusiva di I’ve seen films – International short film festival, il festival dedicato alla promozione del cortometraggio, da lui fondato a Milano. Un’iniziativa alla quale hanno partecipato i master Almed in Progettazione e Comunicazione del Cinema e Mappt – Analisi e Progettazione del prodotto televisivo, che hanno organizzato due Masterclass di approfondimento e confronto. Con lui abbiamo scambiato alcune parole sul tema della seconda di queste: Il luogo dove arte e poesia incontrano i film. Il rapporto tra il cinema e la pittura; in che modo la letteratura e la poesia si possono fondere nella struttura filmica.
Rutger Hauer, innanzitutto perché dedicarsi ai cortometraggi dopo una lunga carriera nella cinematografia classica e perché fondare il festival a Milano? Oggi più che mai le persone hanno bisogno di vedere cortometraggi. Gli short films sono interessanti perché sono più liberi, sono meno condizionati, possono raccontare quello che vogliono con le modalità che l’autore/regista sceglie senza vincoli di alcun genere. Il festival ha sede casualmente a Milano perché qui ho conosciuto le persone che mi hanno supportato in questo progetto. Ma non è importante il “dove”. È sempre difficile aprirsi al mondo, noi oggi lo facciamo attraverso internet ma poi torniamo a connetterci con il nostro spazio, nel luogo dove viviamo.
Oggi in Cattolica il tema è la compenetrazione delle arti nel cinema. Come si declina secondo lei questo mix? Non c’è un modello prefissato, bisogna iniziare e cercare di esprimere la creatività utilizzando diverse arti, poesia, letteratura, pittura a secondo del contesto e della necessità. Ma il vero problema non sta nella produzione e nei suoi attori, ma nella distribuzione, perché l’arte non vende! Dovremo reinventare un sistema di distribuzione dei film.
E nella sua esperienza in particolare che cosa ha significato l’utilizzo dell’arte? La liberazione di me stesso. E se liberare se stessi è difficile, ancora più difficile è liberare gli altri. La maggior parte del lavoro dell’attore è quello della ricerca. È come una scoperta continua di ciò che siamo e ogni volta che arriviamo a un punto, ci accorgiamo che conosciamo di più e che gli orizzonti che abbiamo davanti cambiano l’oggi. Quando pensi di aver sfiorato la verità e questa sta per diventare un dogma, è il momento in cui sparisce. Come i pixel di un pc.
Come vede il futuro del cinema nell’era delle nuove tecnologie? Vedremo nei prossimi cinque anni. Una parte dell’industria cinematografica sta morendo, dobbiamo trovare modalità nuove, dando spazio alle nuove tecnologie e imparando a orientarci in questo uragano di pixel in cui ci troviamo.